Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida
Letture: At 13,14.43-52; Sal 99; Ap 7,9.14b-17; Gv 10,27-30
Anno C – IV Sett. Salterio
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
In questa domenica di Pasqua, nella quale si legge un brano del capitolo 10 del Vangelo di San Giovanni, Gesù applica a sé l’immagine del buon Pastore molto presente nei testi dell’Antico testamento.
E’ il motivo per il quale questa domenica è dedicata alla preghiera per le vocazioni alla vita sacerdotale. Attraverso la parabola del buon pastore Gesù descrive il tipo di rapporto esistente tra lui e gli uomini che gli appartengono: di ascolto, di sequela, di reciproca conoscenza. “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. Questo ci porta a riconoscere che l’esperienza cristiana, che è comunione con Cristo buon Pastore, è possibile solo se l’uomo è disposto ad ascoltare la sua Parola, ad accoglierla, ad affidarsi alla sua guida e a credere che Lui dona la pienezza della vita.
E’ necessario, dunque, oltre alla reciproca conoscenza anche la reciproca fiducia. Il cristiano, in definitiva, si qualifica come uno che ha un solo maestro, Cristo, e un solo legame assoluto, da cui tutti gli altri prendono senso. Scrive l’Imitazione di Cristo: “Chi abbraccia Gesù non potrà più essere scosso per tutta l’eternità. Ama lui e abbilo sempre amico: quando tutti ti abbandoneranno, lui solo non ti abbandonerà; e sarà lui a salvarti dalla rovina”. Per questa ragione nella Chiesa nessun pastore può pensare di sostituire Gesù Cristo.
Nessuna guida può pretendere di prendere il Suo posto e nessuna voce, per quanto autorevole, può sostituirsi alla Sua. Nella Chiesa chi è chiamato ad esercitare un ministero si assume anche la responsabilità di lasciare trasparire l’unico Pastore che conta, l’unica voce che chiama e la sola amicizia che merita di essere veramente coltivata. Gesù pretende tale assolutezza perché ha dato la sua vita per le pecore. Pertanto, pensare a Gesù Cristo significa vederlo come il Crocifisso il quale ha portato “i nostri peccati sul suo corpo” e dalla cui piaghe siamo guariti.
Le ferite dei chiodi nelle mani e nei piedi ed il colpo di lancia nel fi anco testimoniano l’amore con il quale il Signore ci ha amati per donarci la vita. Gesù non è il Messia dei beni terreni, ma è il Pastore che, dopo averci chiamati alla comunione con Lui, ci dona la vita eterna. Il Signore non ci promette nulla che riguardi il nostro cammino terreno, ma ci dice chiaro e forte qual è l’ambito e il fi ne della nostra esistenza, se ci affidiamo a Lui: vivere per sempre al riparo da ogni male e godere di una vita indistruttibile.
Un altro elemento che caratterizza il rapporto Pastore-pecore è il fatto che nessuno può strappare a Gesù le sue pecore. Nessuna persecuzione, per quanto insidiosa, può spaventare i discepoli ed arrestare il cammino della Parola di Dio .
+ Francesco Cavina