Quando, alle 17.55 di domenica 2 aprile, nel prato adiacente la chiesa di San Giacomo Roncole l’elicottero che ha riportato Papa Francesco a Roma, ha iniziato ad elevarsi sulla folla che ancora lo salutava con tanto calore ed energia, è stato come risvegliarsi da un sogno, un bellissimo sogno. La giornata di Francesco tra Carpi e Mirandola rimarrà scolpita non solo nella storia di queste due comunità e della Diocesi, ma soprattutto, ed è ciò che più conta, nei cuori delle decine di migliaia di persone che sono accorse per vederlo, ascoltarlo, cercare di incrociare il suo sguardo. I più fortunati hanno goduto di una benedizione, di una carezza, di un gesto di attenzione, di una parola, di una fotografia, di un selfie.
In una toccante poesia così Mario Luzi fa dire ad uno dei discepoli di Emmaus: “Quel pane, quelle mani che lo frangono, lo sguardo, il troppo lesto addio”. Ecco anche per noi l’addio del Papa è stato “troppo lesto”, perché siamo stati bene insieme a lui, ci siamo sentiti accolti, compresi, incoraggiati, spronati ad abbandonare i sepolcri nei quali ci ritroviamo quando siamo sopraffatti dai problemi e dalle prove della vita. Il giorno dopo il “troppo lesto addio”, il turbinio delle emozioni è ancora forte, ascolti i racconti commossi delle persone, leggi i commenti e le foto del popolo della rete, scorri la rassegna stampa e vorresti fissare tutto non perdere una sola immagine e nemmeno una sillaba delle parole pronunciate da Francesco.
E’ stato un momento di grazia spirituale straordinario, non ci sono altri criteri per giudicare il senso di questo evento, un dono immenso che non si può relegare al piano delle emozioni, per quanto forti e sincere esse siano. Viviamo nel tempo in cui la forza delle immagini prevale su quella delle parole, Papa Francesco ce lo insegna in ogni occasione pubblica, per dirla con don Tonino Bello, è riuscito a trasformare i “segni del potere” che pur egli rappresenta, nel “potere dei segni” come ha fatto l’unico maestro, Gesù Cristo.
In un passaggio dell’omelia della messa celebrata a Carpi e nelle parole rivolte ai mirandolesi che in quel momento hanno rappresentato tutte le persone segnate dalle cicatrici delle ferite inferte dal sisma, si è subito capito su quale punto volesse convergere Francesco per fissare una piena sintonia con chi aveva di fronte. Certo ha lodato la dignità, l’intraprendenza e la tenacia con cui è stata affrontata la ricostruzione, ha auspicato un’accelerazione per ciò che rimane ancora da fare, per le abitazioni, anche per le chiese, a cominciare dal Duomo di Mirandola, ma è parso chiaro a tutti come il tempio di Dio che più interessa al Papa è l’uomo vivente, la comunità in cui si ritrova e si riconosce, la Chiesa di pietre vive.
Ora con responsabilità, da parte di tutti, occorre dedicare tempo alla riflessione sulle parole che Francesco ha pronunciato con riferimenti di profonda umanità e comprensibili da tutti. Alla comunità cristiana si impone un supplemento di impegno affinchè i discorsi del Papa diventino il segno di un nuovo inizio per plasmare sempre di più la nostra Chiesa al modello che lui ha delineato nell’Evangelii gaudium.
Infine il regalo più bello e inatteso, è stato il sorriso e il grazie del Papa alla piccola delegazione di giornalisti e di operatori presenti anche nell’ultima tappa di San Giacomo. Un grazie che va esteso e condiviso con gli oltre trecento operatori accreditati, ai quali, per ovvi motivi logistici, non è stato possibile seguire la parte della visita a Mirandola, e a tutti i collaboratori e volontari dell’ufficio stampa della diocesi di Carpi che con dedizione li hanno accolti e seguiti in queste giornate faticose ma indimenticabili.
Luigi Lamma