Editoriale del n. 19 del 19 maggio 2013

Il terremoto un anno dopo tra burocrazia e vera speranza

La roccia su cui ricostruire

di Luigi Lamma

 

Ecco un anno è passato. Il 20 maggio la prima forte scossa, il 29 maggio, quando già l’intraprendenza dei più aveva alimentato lo slancio di una immediata ripresa, il giorno terribile che ha seminato lutto e disperazione. Per alcuni la vita si è spenta, per tanti ne è iniziata un’altra fatta di mobilità, di precarietà, di convivenze forzate all’interno dei campi o nella ricomposizione di più nuclei familiari. Quello dell’emergenza è stato il tempo degli slanci generosi, degli aiuti piovuti da ogni parte, della mobilitazione nazionale con collette, concerti, manifestazioni sportive e tutto quello che la fantasia della solidarietà ha saputo generare nella coscienza di un popolo ancora tanto sensibile nonostante la crisi diffusa. Una scia di bene che fortunatamente non si è interrotta ma continua attraverso i mille rivoli dei rapporti che la tragedia ha allacciato. Poi è iniziata la fase più critica che ha coinciso con l’inverno, i disagi si sono amplificati e la presa d’atto della realtà ha cominciato a fare i conti con l’implacabile macchina della burocrazia, delle delibere e di tutti quegli strumenti che nei propositi iniziali avrebbero dovuto facilitare la ripresa ma che, insieme al balletto delle cifre dei rimborsi, di fatto l’hanno resa ad oggi un miraggio. Sì le scuole hanno riaperto, gli ospedali hanno ripreso a funzionare secondo un piano graduale di ripristino delle attività, la macchina pubblica è stata efficiente e generosa per se stessa, attingendo a man bassa dalla generosità della gente, ma per il resto… Le aziende che hanno accettato la sfida si sono attivate inizialmente con risorse proprie, altre hanno rinunciato in partenza complice l’incertezza sulle effettive risorse su cui contare e un contesto di mercato già competitivo che non ammette passi falsi.
Nei paesi più colpiti si è ancora nella fase delle demolizioni degli edifici privati.


Tecnici e periti ingaggiati dai privati cittadini sono al lavoro da mesi, hanno prodotto studi, progetti, preventivi in ottemperanza agli innumerevoli quesiti delle delibere commissariali ma ad oggi le pratiche approvate in tutta l’area del cratere pare non superino il centinaio. C’è un blocco a livello degli uffici tecnici comunali dove pochi operatori sono alle prese con centinaia di pratiche da valutare in coerenza con tutti i parametri imposti dalle delibere e sempre in coerenza con i farraginosi regolamenti comunali. Cresce l’esasperazione tra i cittadini che chiedono di potere avviare i cantieri. E’ una pena vedere gente così desiderosa di fare e di ricostruire bloccata dalla burocrazia, dalle complicazioni delle procedure.
Accanto e dentro a questo popolo c’è la Chiesa, il Vescovo con i suoi sacerdoti, con le chiese e le canoniche abbattute o inagibili, spogliata in alcuni casi di ogni memoria della sua storia secolare. E’ stato un anno dove le celebrazioni delle domeniche e delle feste solenni sono state ospitate nei più disparati luoghi di fortuna, tendoni, tensostrutture, cinema, saloni, fabbriche dismesse’ Una precarietà di proporzioni mai sperimentate prima d’ora dalla comunità cristiana. Un percorso di purificazione, di ricerca dell’essenziale, di verifica della tenuta della fede stessa e di tutto l’impianto organizzativo e pastorale della Diocesi. Rileggere dopo un anno il discorso pronunciato da Benedetto XVI a Rovereto è di grande consolazione perché l’invito del Papa è stato accolto e messo in pratica: ‘su questa roccia, Cristo, con questa ferma speranza, si può costruire, si può ricostruire’. Come ha intuito fin dall’inizio monsignor Cavina la paura del terremoto e delle sue drammatiche conseguenze si supera con l’atteggiamento umile verso il Padre che anche a noi dice ‘Ritornate a me con tutto il cuore’. Così è stato seppur dentro i mille conflitti, tensioni e incomprensioni che una catastrofe di tali dimensioni inevitabilmente ha prodotto anche nel cuore di una comunità chiamata a testimoniare per prima il perdono, la condivisone e l’amore reciproco. Le prime strutture che prendono forma e vita sono come lo spiraglio di sole dopo la burrasca, si stanno moltiplicando così come i primi cantieri per canoniche e oratori. Tutto bene ma non è dalle pietre che sgorga la speranza ma piuttosto nel ritrovarsi ogni domenica attorno all’eucaristia, nel celebrare battesimi, prime comunioni o cresime, gesti di fede vissuti con fedeltà ammirevole alla propria comunità e alla propria terra tanto che anche una tenda può rivelarsi bella come una cattedrale.  Allora buon compleanno terremoto, inatteso compagno di viaggio di questo frammento della nostra storia.

Luigi Lamma