Editoriale del n. 44 del 14 dicembre 2014

Nel Paese impaurito dei “capitali inagiti”
I talenti della politica
di Luigi Lamma

Il 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese 2014 afferma che “la cifra interpretativa adatta per descrivere l’Italia di oggi è quella di un Paese dei ‘capitali inagiti’”, cioè non investiti, non movimentati, non sfruttati. Il futuro fa paura, si teme il perdurare della crisi economica e quindi il rischio di ritrovarsi poveri da un momento all’altro. I numeri possono trarre in inganno ma spesso fotografano con esattezza una tendenza presente nella società. Nel giorno in cui i giornali riferivano i risultati del rapporto del Censis, monsignor Francesco Cavina ha incontrato i politici locali e ha sviluppato per loro una approfondita meditazione sulla parabola dei talenti (Mt 25,14-30). Di fatto i presenti hanno avuto in regalo dal Vescovo una rilettura del rapporto Censis alla luce del Vangelo, perché anche nella parabola si parla di “capitali inagiti” ovvero di talenti non investiti e della “paura del padrone” che ha impedito a uno dei servi di agire per mettere a frutto nel migliore dei modi i beni mobili ricevuti.
C’è un numero crescente di italani che, come riferisce il Rapporto, non investe più ma destina il proprio risparmio a tutela di possibili imprevisti come la perdita del lavoro o un’improvvisa malattia. E’ certo un atteggiamento comprensibile in tempi di crisi ma non corrisponde alla realtà dell’uomo e della sua missione nel mondo. “Dalle scelte che operiamo in questo frammento di spazio e di tempo che è la nostra vita – ha detto monsignor Cavina – nasce per ogni uomo il destino che lo accompagna alla vita eterna… c’è da camminare con fedeltà con ciò che si è ricevuto, senza avere paura, perché la paura paralizza, perché tutto ciò che si sceglie di fare sotto la spinta della paura, anziché sotto quella della speranza, impoverisce la propria storia personale”. Meglio cambiare il punto di vista e volgere lo sguardo ai servi della parabola che hanno gestito i beni avuti in dote come un’opportunità di crescita, hanno messo in atto requisiti che ora ai nostri occhi appaiono rarefatti, se non smarriti, come il coraggio, la determinazione, l’accettazione del rischio: “perché Dio onora l’intelligenza dell’uomo ed è onorato dall’intelligenza dell’uomo”. 
Se a livello individuale ognuno è chiamato ad abbandonare le visioni catastrofiche e il cinismo paralizzante, ancora più grave è la responsabilità della politica che deve avere l’intelligenza di fornire vie d’uscita e motivi di speranza per il futuro, in particolare ai giovani e alle famiglie. Nella società ha affermato il Vescovo di Carpi, la diversa distribuzione dei talenti non è indice di maggiore o minore prestigio personale ma piuttosto “riconoscimento di una sapiente complementarietà di doni per la crescita del bene comune”.
“C’è bisogno della politica. Non quella che conosciamo o che sogniamo, ma quella paziente del raccordo, di chi va a vedere le aspettative” sostiene Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Una politica chiamata a riconquistare un primato all’interno della società che non è quello della gestione del potere ma quello della capacità di ascoltare e mettere in comunicazione tutti i mondi vitali che ora appaiono isolati e autoreferenziali. C’è bisogno di una politica che orienta e spinge in avanti il Paese, con una prospettiva di speranza. Si dovrebbe ripartire dalla famiglia come ha ricordato di recente Papa Francesco, perché senza figli non c’è futuro, di questo si stanno accorgendo anche i laici, e serve “una straordinaria e coraggiosa strategia… da qui può iniziare anche un rilancio economico per il Paese”. A proposito di talenti ben investiti.