Editoriale n. 10 del 15 marzo 2020

Le tante presenze di Cristo nei tempi senza Eucarestia

C’è profonda amarezza da parte del mondo cattolico per questo deserto quaresimale senza liturgie. Ed anche qualche polemica. Amarezza per un vuoto, che tocca la spiritualità dei credenti, ma anche la dimensione comunitaria del fatto religioso. Quel radunarsi insieme per ritrovare volti noti, il nostro banco, i poveri alla porta della chiesa, i riti della colazione al bar a Messa ultimata, il vociare della piazza col brusio avvolgente della convivialità. Più nulla. E improvvisamente cresce la percezione del valore dell’Eucarestia domenicale, senza la quale ci sentiamo più poveri e feriti. E corre spontaneo il pensiero ai fratelli dell’Amazzonia e delle tante Amazzonie del mondo, che sognano la liturgia domenicale come il bene più prezioso. Bene impedito dalla mancanza di sacerdoti celebranti, mentre le chiese da 4% di cattolici praticanti si scandalizzano all’idea di ordinare prete uomini sposati, di provata moralità. Ma anche polemica, si diceva. Ma come? I vescovi che si piegano alle direttive dello Stato? E le acquasantiere vuote per paura del virus? Ma l’acqua santa non è quella che contiene gli anticorpi e ci guarisce? Non manca qualche anonimo cartello alle porte della chiesa, messo lì di notte per la mancanza di coraggio, per dire al parroco tutta la riprovazione possibile. E poi perché i supermercati sì e le chiese no? Si rischia di cadere nella banalità nel rispondere a queste provocazioni. I supermercati tengono aperto perché bisogna mangiare e, visto che si mangia per vivere a prescindere dalla fede, è chiaro che tra i due piani una qualche differenza esiste. Se poi se vogliamo dirla tutta, è chiaro che chi vive di commercio ha di vista il guadagno, che non vuol dire solo ingordigia, ma vuol dire lavoro, dipendenti con famiglia, figli da sfamare, rate da pagare… La Chiesa, da questo punto, non ha di vista un utile, almeno così si spera, ma il bene spirituale e morale delle persone. Senza dimenticare che è da sempre caratteristica dei cristiani obbedire alle leggi dello Stato, a meno che non si oppongano alla loro coscienza morale.

E quindi, che fare? Rassegnarsi al deserto? Tornano quanto mai opportune le parole profetiche del Vaticano II, quelle della Sacrosanctun Concilium, dove, al numero 9, si dice che la Liturgia non esaurisce tutta l’attività della Chiesa, così come la Liturgia non esaurisce da sola tutta la presenza divina di Cristo.

San Paolo scrive: «ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1 Cor. 11, 26). Ma c’è un passo evangelico altrettanto eloquente in Matteo 25, 40: «ogni volta che avete fatto questo a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me». Ogni volta. È in questo avverbio di tempo che si nascondono modi diversi per incontrarsi con Cristo. E ciò può accadere nei Sacramenti, nell’ascolto della Parola, ma anche nelle opere di misericordia. E allora perché non fare di questo deserto liturgico un’occasione di Grazia per scoprire l’incontro con il Signore sulle strade dove incrociamo affamati, prigionieri, malati, stranieri… ? Una carità tanto sbandierata a chiacchiere, quanto disattesa nei fatti, magari a vantaggio di qualche liturgia individualista, più attenta alla propria coscienza che al Corpo di Cristo.

Bruno Fasani