Editoriale n. 24 del 21 giugno 2020

L’educazione tra dibattiti politici e vera emergenza

Aperto per ferie

Oggi a Carpi e nelle città del territorio esiste un’emergenza educativa? I più direbbero di sì e argomenterebbero citando dati, studi, ricerche, per concludere che serve un progetto che coinvolga tutte le agenzie educative – a partire dalla famiglia – ad oggi incapaci di lavorare in rete. Saranno almeno vent’anni, cioè da quando mi occupo di educazione, che mi pare di aver sempre letto una cosa del genere e, se ancora siamo fermi qui, forse abbiamo un problema o forse no, perché non siamo di fronte ad un problema ma ad un dato di fatto: educare è qualcosa che ha a che fare con l’imprevedibilità e la criticità quindi con un’emergenza. In altre parole non credo si possa educare in un contesto diverso da quello dell’emergenza. Altra cosa è non impiegare risorse per l’educazione ma è una questione che attiene alle scelte famigliari e sociali e le scelte poi si pagano. Quindi, facciamocene una ragione e lavoriamo serenamente in questo contesto senza farci prendere da inutili scoramenti e fantasiose soluzioni ispirati più al cuore-soleamore che alla ragionevolezza. Chi intende ragionare di educazione bisogna che almeno una volta si sia messo gli stivaloni per andare in campagna a curare i campi, lo si fa con il bello o con il cattivo tempo, senza la certezza del raccolto ma soprattutto lo si fa nella assoluta convinzione che quello che si fa è solo un pezzettino del lavoro, al resto penseranno altri. Ma è quel pezzettino che se non viene fatto, nella stragrande maggioranza dei casi, non farà nessuno e nel puzzle alla fine il buco si vede. Allora proverei a definire tre o quattro elementi a partire da questa affermazione: “l’educazione è un processo di libertà, ma governato da regole. Poche, pacate ma regole”. Se educare significa definire a priori una certa asimmetria deve essere chiaro chi educa chi e chi stabilisce le regole che possono essere anche concordate ma non in un processo di compravendita, non è più tempo di genitori/ educatori/insegnanti che tentano di convincere i ragazzi a studiare/aiutare in casa/fare qualcosa perché è ritenuto inammissibile imporre in modo autoritario un certo comportamento e quindi come un bravo venditore si prova a sedurre. Abbiamo già capito che l’autorità di per sé funziona finché si ha paura delle conseguenze, e quindi abbastanza inefficace nel lungo periodo a meno che uno non voglia vivere costantemente minacciato, ma abbiamo anche capito che funziona quando qualcuno ci dice “fai quello che ti dico perché sono io il responsabile di questa relazione”. Allora succede che uno si fida perché sa che se va male c’è qualcuno al suo fianco che lo aiuta a portare il peso del fallimento, certo non si sostituirà a lui nella fatica ma almeno non è solo. Però ci vuole quel qualcuno che la responsabilità, anche rischiando l’impopolarità, se la prenda. In secondo luogo educare alla libertà è un atto d’amore nei confronti dei nostri ragazzi: la libertà di dire no, la libertà di andare controcorrente, la libertà di essere se stessi sempre, la libertà di essere diversi, la libertà di cambiare idea, la libertà di rifiutare, la libertà di ridere, la libertà di chiedere, la libertà di scoprire. Tuttavia, proprio come cantava Giovanni Lindo Ferretti, la libertà è una forma di disciplina che va conquistata a suon di rigore verso se stessi e verso gli altri. In questi mesi così inaspettati e così strani è uscita tutta la fragilità dell’uomo che si è reso conto di non poter controllare tutto, ma di vivere nell’imprevedibile che, a pensarci bene, è l’essenza ultima della nostra umanità. Allora è il tempo di cogliere coraggiosamente e con un po’ di audacia l’invito dei Vescovi a tenere “Aperto per ferie” mettendo in campo, ognuno per il proprio pezzettino, le forze migliori che si hanno. Non farlo è semplicemente una occasione persa.

Simona Melli