Editoriale n. 31 del 20 settembre 2020

Le voci del territorio a confronto

Senza la cura degli ultimi non c’è comunità

In un tempo in cui una pandemia come quella che stiamo vivendo ha portato con sé uno stravolgimento nella vita di tutti e spesso non in senso positivo, è già un segno di speranza potersi ritrovare per dialogare e confrontarsi su un tema come “Mettere in comune la vita – Il coraggio e la fatica di fare comunità insieme agli ultimi”, mettendo in circolo esperienze di vita diverse a servizio degli altri, ma accomunate dalla cura per i legami e le relazioni e da una passione che profuma di vocazione. L’idea della tavola rotonda è nata durante la preparazione del laboratorio “Costruire la comunità a partire dagli ultimi” dell’Azione Cattolica, che quest’anno, dovendo rinunciare all’esperienza dei campi estivi, ha proposto un percorso, fatto di lectio divine, cineforum, incontri formativi per tutti i gruppi, con l’obiettivo di mantenere il periodo estivo come un tempo per ricaricarsi e riflettere. La quarantena ci ha fatto ricordare che senza le relazioni umane non siamo nulla, non riusciamo a farne a meno e la comunità nasce proprio da tale desiderio di mettersi in relazione con gli altri, ma non basta solo il desiderio. Essere comunità comporta una cura e un’attenzione all’altro, un impegno costante nel tempo, tenacia, coraggio, ascolto. Ecco perché è importante tenere vivo l’interesse per l’altro con strumenti, progetti e modi creativi – come ha detto Alberto Bellelli – che allevino le sofferenze e che permettano ad ognuno di diventare attori del benessere della collettività. Michela Marchetto di Caritas Diocesana ha parlato di una “tessitura di comunità”, riferendosi al lavoro quotidiano e instancabile dei volontari e dei sacerdoti che sono sempre stati presenti, anche durante il lockdown, segno che la carità non si ferma mai. Ciò che spinge l’uomo a creare relazioni è la consapevolezza che l’altro è “un mistero e portatore di una bellezza che non si conosce” ha affermato Sergio Zini della Coop. Soc. Nazareno: “in ognuno di noi c’è una sfumatura di bene da cogliere”, se si cerca la bellezza nell’altro, si contribuisce a costruire un bene comune, che va oltre i pregiudizi e i limiti che vediamo in chi è diverso da noi. “La diversità è una difficoltà per tutti, ma può diventare una grande ricchezza” – ha aggiunto Tiziana Venturi di Venite alla festa – perché nell’incontro con l’altro si è costretti ad uscire e a muoversi in una continua tensione di accoglienza. È per questo che anche don Filippo Seraf ni dell’associazione Il Porto ha sottolineato come il povero aiuti a costruire la comunità in modo autentico: il povero è un disturbatore, un provocatore, infastidisce le nostre pigrizie, le nostre povertà, ma tira fuori in noi quell’accoglienza che nasce dall’eucaristia che riceviamo; il confronto con il povero ci aiuta a tirare fuori ciò che già Cristo ha seminato in noi. Tutti sono stati d’accordo nell’affermare che senza la cura per gli ultimi, quelli che nessuno vede o che si tende a ghettizzare, ad escludere dalla propria cerchia, non può esistere una vera comunità. Anzi, “gli ultimi diventano la nostra bussola per capire dove siamo e in quale direzione vogliamo andare” – come ha affermato Francesco Cavazzuti di Migrantes – perché è proprio nel confronto con il povero che ci si mette in discussione ed emerge di che pasta siamo fatti e che cristiani siamo. Questo tipo di relazione tuttavia esige una gradualità: la pazienza del conoscersi, la capacità di lasciare spazio all’altro perché emerga per quello che è senza pretese.