Editoriale n. 36 del 20 ottobre 2019

La psichiatria contemporanea crede alla possibilità di guarigione

Ci fu un tempo in cui le persone con malattia mentale, i “folli”, i “pazzi”, come erano chiamati, venivano emarginati, isolati dal mondo civile e dalla comunità, privati della loro voce e della loro dignità, nascosti nei manicomi dove dovevano restare per il resto della loro vita, in quanto considerati irrecuperabili, inguaribili. Non c’erano cure, ma contenzione, per questi “quasi-uomini”, che “non si erano evoluti come le persone normali” ed erano ritenuti incivili e pericolosi per sé e per gli altri.

Gli psichiatri, che li seguivano, si limitavano ad utilizzare l’elettroshock e altre terapie fi siche oltre a distribuire psicofarmaci per sedare, controllare, contenere. Il tutto su una base di esperienze empiriche che finivano per soffocare e svilire le potenzialità umane, professionali e culturali, l’empatia e le conoscenze medico-scientifiche degli psichiatri stessi.

Oggi tutto è cambiato: le mura dei manicomi sono cadute e la moderna psichiatria, facendo proprie le tesi rivoluzionarie di Franco Basaglia, psichiatra e neurologo, fondatore del moderno concetto di Salute Mentale, ha visto nella forza di accogliere e ascoltare la malattia mentale la chiave di un percorso innovativo, che ha restituito al paziente la sua dignità, il rispetto per la persona umana, la difesa dei suoi diritti e ne ha decretato la centralità in quel processo terapeutico e riabilitativo di cui la psichiatria si è fatta paladina.

La Giornata Mondiale della Salute Mentale celebra questo eccellente traguardo, questo mutato atteggiamento raggiunto grazie ad un percorso di studi sulla psiche e sulle relazioni interpersonali, oltre che di ricerche biologiche, anatomiche e scientifiche. Non da ultima, grazie alla presa di coscienza e consapevolezza dei moderni psichiatri.

Con una maggior conoscenza delle caratteristiche basilari del cervello, la scienza medica afferma che tutte le malattie della mente sono curabili e sfata il mito dell’incurabilità, invitando a superare i pregiudizi, sempre duri a morire, verso chi è affetto da disagio psichico: non un “malato”, non un “paziente”, ma una persona che manifesta in modo più esplicito la propria sofferenza, che può essere curata e recuperata.

La guarigione è il grande e ambizioso approdo del disturbo psichico: la guarigione completa, con la scomparsa dei sintomi; la guarigione sociale, quando la malattia non è più dominante, diventa marginale e accettabile e permette un recupero sociale e lavorativo.

Non sempre si arriva a questo traguardo e il lavoro del medico per ottenere anche piccoli risultati è lungo, paziente e tenace, diversificato per ogni individuo e per ogni disturbo. È un’opera corale, che coinvolge lo psichiatra, il personale infermieristico, la persona sofferente, la famiglia, consultata e ascoltata, la comunità, i servizi sociali, le associazioni dei familiari, le testimonianze di chi è sopravvissuto alla malattia.

Non tutti guariscono. Ma la voce della moderna psichiatria comunica speranza, parla di aspettative positive, di dialoghi aperti, di elementi favorenti la guarigione, di racconti personali come metodo analitico di cura e infonde grande fiducia nel paziente. Con atteggiamento rivoluzionario, lo mette al centro delle scelte e delle decisioni nel processo terapeutico.

La ricerca è ancora in corso: si fonda su indagini scientifiche e sulla metodologia rigorosa della scienza. Come afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli: “Siamo entrati nella psichiatria scientifica”.

Il risultato è un nuovo approccio al paziente: non più un “folle”, un “quasi-uomo” incivile e immaturo, ma una persona umana, un uomo vero, relazionale, fatto di biologia e di psiche, un soggetto che vive nella sua comunità e, come tale, da accogliere, ascoltare, comprendere e aiutare.