Editoriale n. 40 del 17 novembre 2019

«Il povero è l’uomo della fiducia!»

Il povero ha la certezza di non essere mai abbandonato perché col suo Signore ha «un rapporto personale di affetto e di amore». Affascinante questa immagine nel Messaggio di Papa Francesco per la III^ Giornata mondiale dei poveri.

E chi è vicino ai poveri, dunque è straordinariamente vicino a Dio. Tocca con mano che «la speranza dei poveri non sarà mai delusa». Diceva don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII (il 23 novembre si celebrerà a Rimini la chiusura della fase diocesana del suo processo di beatificazione) che “la carità va vissuta prima che detta, va testimoniata con la vita!”.

Per questo, ha sempre invitato ad accogliere i bambini abbandonati in ospedale, i disabili gravissimi, a “dare una famiglia a chi non ce l’ha”. “Dobbiamo andare là dove sono le donne sfruttate nella prostituzione”. E ancora: “dare un’alternativa alle mamme in carcere coi loro bimbi”.

Una carità viva e visibile che ha spesso scomodato quella porzione di Chiesa abituata a vivere la fede solo tra le mura della parrocchia. Lui invece è stato uno dei pionieri della Chiesa in uscita, che raggiunge le periferie della città, uscendo a incontrare i “parrocchiani che sono fuori dalle mura”.

Un rivoluzionario della carità che ha sempre raccomandato di essere “incendiari nell’amore e non pompieri”. Ma la carità non può essere oggi un’esperienza isolata, un “fai da te” di un’unica organizzazione: tutti possiamo essere “un prolungamento dell’Amore di Dio”, unendo sempre più i diversi carismi, con uno stile non violento, che costruisce ponti di pace, che sa creare unità e allargare le cerchie, mettendosi in dialogo con tutti, nessuno escluso! Come accaduto quest’estate, quando in sinergia col Cav di Carpi, abbiamo supportato una donna incinta al terzo mese che dormiva in un giardino pubblico insieme ad un altro figlio piccolo. Pronto un santo prete ad accoglierla in emergenza e pronta una casa-famiglia della nostra Comunità ad accoglierla in sinergia coi servizi sociali nella città da dove proveniva. I poveri dunque non sono una categoria sociologica. Sono persone comuni esistenzialmente smarrite per un periodo, in cerca di qualcuno che li affianchi per un tratto di strada senza pregiudizi, ma con la speranza di un orizzonte di vita nuovo. E molto spesso sono proprio i poveri, vicini e lontani, quelli che ci indicano la via, i nostri maestri, quelli che chiedono scusa di esistere, quelli che vorrebbero denunciare l’ingiustizia ma non hanno abbastanza voce.

Davvero i poveri hanno in sé «una forza salvifica che non esclude nessuno e tutti coinvolge in un reale pellegrinaggio di conversione», come scrive Papa Francesco. Sono quelli che avendo toccato con mano l’essenziale o anche l’estrema indigenza, sanno che ciò che resta davvero alla fine della vita è solo l’amore. Sono quelli che hanno il volto di Nina, 53 anni, la prima donna che ho accolto, sopravvissuta ad un incendio sotto il ponte dove dormiva con altri senza tetto e malata di cancro. Mi spiegava che per non sentire il freddo ognuno si copriva coi cartoni e aiutava l’altro ad organizzarsi la copertura per la notte, stando tutti vicini per mantenere uno spazio di calore sotto il ponte. L’immagine di quella donna, piena di piaghe sulla pelle e di metastasi nei polmoni ma sempre col sorriso e un “grazie” sulle labbra, mi accompagna da vent’anni. «La speranza dei poveri non sarà mai delusa». Ora tocca a noi: stare tutti vicini – nessuno sia scartato – per mantenere ancora caldo il cuore nel tran tran delle nostre città.

Irene Ciambezi,
Comunità Papa Giovanni XXIII