Caro Monsignor Cavina,
abbiamo letto con un certo stupore la sua lettera su Notizie, nella quale annunciava le sue dimissioni.
Siamo sinceri, non ce l’aspettavamo, per cui non eravamo pronti ad un evento così. Ci siamo fatti alcune domande, anche perché il rapporto che lei ha avuto con noi è sempre stato cordiale, in alcuni momenti è andato anche al di là del suo ruolo pastorale, con un coinvolgimento amicale con alcuni di noi che ci ha fatto piacere.
La prima domanda è: perché a Carpi?
Questa città, non da ora, ma da un po’ di tempo a questa parte, è attraversata da un sentimento che non riusciamo a decifrare e neanche a capire, una forma di rancore, che in alcuni momenti si trasforma in vera e propria rabbia che attraversa più ambiti.
I Social Network e i loro utilizzatori sono stati spesso strumento e nello stesso tempo complici di questa “difficoltà del vivere” e “dello stare insieme”. Noi non ce la sentiamo di entrare nel merito delle vicende che l’hanno toccata personalmente e che sono arrivate addirittura a intercettazioni telefoniche e questioni legali, da cui per altro ne è uscito totalmente estraneo, però su questo punto lei ha la nostra solidarietà, senza se e senza ma.
Ci consenta di immaginare il suo stato d’animo in quei momenti e ci consenta di porci la seconda domanda, spero non indiscreta, su chi le sia stato vicino, in modo sincero, vero e se vero, umano.
Sicuramente come fa intuire nella sua lettera “la fede nel Padre” che l’ha portata ad accettare il compito che le è stato affidato è stata il suo sostegno.
Ma noi comunità potevamo fare di più?
Forse sì. Quello che ci sentiamo di dire, dal profondo del cuore è che non doveva finire così. Ci sentiamo di dirle queste parole perché qualcosa ci accomuna, lei ferito nella sua dignità e nel suo spirito; noi feriti nel nostro corpo dalla malattia, presi a volte dallo sconforto, con le nostre paure.
Trovarci fra noi non ci ha tolto le paure, ma ci ha consentito di guardarle in faccia e non è poco, ci creda. Per chi ha la fede questo sguardo diventa a volte un modo di riprendere in mano la propria vita e rivolgersi a Dio con la domanda “Cosa mi stai chiedendo?”. Per chi non ha questo dono lo stare insieme è diventato nel tempo stesso necessità e risposta.
Questa sua lettera la fa sentire vicino, la fa sentire il nostro Vescovo, anche per i non credenti.
Con cordialità
Franca Pirolo
Presidente Amo Carpi