Il dono ha una logica ferrea, la gratuità: purtroppo spesso la dimentichiamo, sistemando anche i doni nella logica del dovere.
Quando ero parroco, mi capitò di sentire questo divertente dialogo tra due bambini, alla fine del catechismo: “dove vai così di corsa?”; “a casa, perché devo preparare con la mamma una festa a sorpresa per domani”; “una festa a sorpresa? Che bello… per chi?”; “per me: domani compio dieci anni!”. Beata innocenza infantile, pensai, che saprà sicuramente stupirsi partecipando ad una festa preparata da lui stesso… Se però andiamo nel mondo degli adulti, il senso della sorpresa è ormai scomparso: per lo più, noi ci muoviamo nella logica del diritto-dovere. Intendiamoci: è una logica sacrosanta, che regge gran parte della convivenza civile, e guai se non fosse così. Ma c’è uno spazio che deve restarne libero, una zona di gratuità senza la quale le relazioni diventano fredde, incapaci di sorpresa e di stupore. Se i rapporti umani fossero regolati unicamente dal diritto-dovere, se non trovasse posto la dimensione del “dono”, la vita sarebbe grigia. Il dono colora le relazioni, le rende belle e profonde, desta meraviglia e gratitudine.
Nella tradizione cristiana è soprattutto la Festa del Natale a rammentarci la dimensione del “dono”, perché quel piccolo Gesù che nasce non è un “dovere” da parte di Dio e nemmeno un “diritto” da parte degli uomini; è semplicemente un regalo, di cui seppero stupirsi i poveri e gli umili, perché i ricchi e i potenti avevano altro a cui pensare. Il Natale è “una festa a sorpresa”, che ci mette davanti agli occhi il valore del dono. Per questo nell’orbita del Natale ruotano tante occasioni per fare e ricevere regali: il 25 dicembre li porta Gesù bambino, a Capodanno sono beneaugurali, il 6 gennaio li porta la Befana… da alcune parti i doni natalizi vengono quasi anticipati già nella festa di San Nicola o in quella di Santa Lucia. Il Natale, insomma, continua ad esercitare una grande magia: l’incanto del dono.
Sarebbe un vero peccato vivere anche questo periodo come un intreccio di diritti-doveri. Può capitare, quando il regalo diventa quasi un obbligo, perdendo il suo carattere simbolico e trasformandosi in un semplice “contraccambio” di pari valore: in questo caso, entra nella dinamica diritto-dovere e, addirittura, diventa una voce di bilancio, di dare-avere. Per esprimere affetto e stima ad un amico non è necessario che io gli regali il cellulare ultimo modello: basterebbe una rosa; ma se quell’amico mi aveva regalato un orologio ultimo modello, facilmente mi riterrà ingrato se gli regalo un fiore, e si offenderà. Questa “escalation” dei regali, a volte imbarazzante per chi deve tenere d’occhio le spese familiari, ha smarrito la logica del dono, della gratuità, dello stupore. Può sembrare un discorso marginale rispetto agli enormi problemi di oggi: disastri ambientali, violenze e le guerre, malattie, drammi sociali, tensioni infinite a cui tutti siamo sottoposti… Credo invece che sia un discorso centrale, perché tocca le corde più profonde, quelle che riguardano le relazioni, poste sempre davanti a questa alternativa: semplice diritto-dovere o vero e proprio dono? La pace, per fare un esempio tragicamente attuale, è frutto solo di diritti-doveri o è anche un dono? Certo, non si può passare sopra alla giustizia strettamente intesa – che, anzi, va sempre perseguita anche a costo di incomprensioni e ferite – ma, se si vuole raggiungere una pace vera e duratura, è necessario iniettare nelle relazioni quel “di più” che interrompe le ostilità: sia a livello interpersonale, come a livello sociale e mondiale. Per questo la pace va invocata come regalo dall’alto; la pace è come il fuoco: gli uomini non possono fabbricarla, ma possono accoglierla e conservarla, a patto che siano disposti ad entrare nella logica del gratuito. Il bambino di Betlemme, re della pace, è “una festa a sorpresa”: chi lo accoglie diventa operatore di pace. Ne abbiamo davvero bisogno.
don Erio, vescovo
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