Con quanti sogni di gloria, attese di successo, speranze di rilevanza, riempiamo le nostre vite ed i nostri cuori!?
Talvolta anche la nostra religiosità si muove su questi registri, pretendendo che Dio sia la nostra forza, la nostra fonte di certezze, l’appoggio sul quale mettere il peso della nostra esistenza, per proseguire nelle traiettorie che ci siamo scelti, ritenendole percorsi univoci per essere felici.
Ma quando le sicurezze non sono più contemplate fra le risorse accessibili, la riuscita con successo non è neppure visibile all’orizzonte, le verifiche ed i conteggi di bilanci positivi scomparsi: cosa si può fare?
Credo che sia questa la domanda che molti si pongono oggi di fronte alla rudezza inaccettabile dei conflitti -in primis quello ucraino -, l’interrogativo che abita la coscienza di molti giovani nativi qui nei Territori del Nord-ovest, la questione che ogni discepolo di Cristo che prova a vivere la missione evangelizzatrice incontra come monte da scalare.
Sono ormai alcuni mesi che mi trovo qui fra distanze sterminate, paesaggi selvaggi, villaggi dispersi nel nulla, dove l’abuso di alcool, droghe e talvolta il ricorso alla violenza, da parte delle popolazioni sembrano essere il pane quotidiano di tanti. E da questo osservatorio così paradossale trovo più che mai necessario, come scriveva il cardinale Martini, ripartire da Emmaus.
Con questo intendo dire che oggi qui, e forse non solo, il messaggio della Pasqua, la gioia della risurrezione, mi pare passi attraverso un cammino di vita quotidiana che, pur segnato da scacchi, delusioni, tensioni, tuttavia si continua a lasciare interrogare da sconosciuti compagni di strada che domandano “cosa ti agita, cosa occupa i tuoi pensieri il tuo cuore?”.
E, nel tempo dell’ascolto e dell’off erta di inedite chiavi di interpretazione del tutto che sei e che sono gli altri, apre i tuoi occhi, la tua mente, ed accende di fuoco nuovo il tuo cuore.
Ripartire da Emmaus, dunque, come quel processo attraverso il quale, arresi finalmente alle nostre sconfitte, lasciamo che le nostre vite personali, e le nostre pratiche ecclesiali, diventino spazi e tempi che hanno nella contemplazione gioiosa il loro perno.
Sì: credo che oggi più che mai, avendo fra l’altro scoperto l’amara conseguenza dell’applicazione di strategie di forza e potere anche alla missione ecclesiale (ad esempio nelle residential schools), sia venuto il tempo in cui la gioia pasquale è lasciata scaturire da ciò che si osserva, contempla, adora: Cristo vivo fra i suoi fratelli e sorelle più piccoli, che ci chiama ed attende con tanta pazienza.
Buona Pasqua a ognuna ed ognuno di voi.