Il ricordo del provicario generale

Da parte mia, non potendo contare su un testamento spirituale ed altri suoi scritti, mi affido a ricordi personali ed a testimonianze ricevute.

Don Roberto parroco. Ogni domenica, quando, dopo la consacrazione mi inginocchio, poso lo sguardo sulla lapide che chiude le reliquie dell’altare della chiesa del Corpus Domini. Lapide che porta scritto: Don Roberto Bianchini, primo parroco, insieme ai suoi genitori, ha eretto questo tempio “pietatis causa”, cioè come atto di fede in Dio, questa opera è stata eretta per la gloria di Dio. Le Eucaristie di questa comunità – Eucaristie a gloria di Dio non ci sarebbero senza il suo impegno deciso, debbo proprio usare le parole “impegno tenace, contro mille difficoltà”… non ci sarebbero senza i suoi sacrifici, i sacrifici dei suoi genitori. Attorno al tempio in costruzione allora non c’era che campagna, non c’era comunità né aiuto della Cei. Don Roberto ha ipotecato anche i beni della famiglia “per la sua chiesa”.

Don Roberto catechista. Catechista, forse d’altri tempi, qualcuno dirà. Con don Roberto non si poteva essere ammessi ai sacramenti se non c’era stato impegno. Un impegno da dimostrare con un esame personale sulla conoscenza del catechismo: in terza elementare si doveva già sapere non solo le preghiere, ma anche i comandamenti ed addirittura il credo. Me lo raccontano parrocchiani riconoscenti, essi stessi divenuti genitori che adesso portano al catechismo i loro figli. Parrocchiani che don Roberto ha formato alla fede. Don Roberto uomo. Temperamento impetuoso, facile nel convertire in parole il suo stato d’animo irritato, non mancava di assumere con generosità situazioni difficili. Eccone due. Una missionaria mi ha confidato che per anni la sua missione è stata sostenuta dalla generosità di don Roberto. Proprio ieri una mamma, con lacrime di commozione, mi ha mi raccontato di come don Roberto – lui così burbero ed impetuoso trattava con

una tenerezza illimitata il suo piccolo bimbo malato e talmente irrequieto da dominare l’attenzione di tutti durante la Messa. Mi ha detto: “Questo mio figlio era il suo parrocchiano preferito, il primo ad essere salutato, quello a cui tutto era permesso”. Vedo in questa tenerezza di don Roberto verso un bambino molto ferito nella natura, il suo desiderio di innocenza … quel desiderio di innocenza che vive in ciascuno di noi, ogni volta che ci sentiamo profondamente feriti dalla fragilità.

Ciao don Roberto (così ti salutavo sempre e continuerò a farlo, il nostro dialogo continua): mi è rimasto qualche lamento da ascoltare, qualche rimbrotto da farti. Salutami la tua mamma Rita, ringraziala per la sua grande fede, ed il papà Azelio per il lavoro generoso e silenzioso. Non solo tu ma anche i tuoi genitori, papà e mamma, siete presenti alla nostra riconoscenza nella chiesa dove ogni giorno, grazie a voi, abbiamo la possibilità di offrire il sacrificio della Santa Messa.

Don Carlo Malavasi