La scommessa dell’impegno nella scuola di oggi
Antonia Fantini
Non sono tempi facili, questi, per chi ha a cuore il bene comune e vuole dare il suo contributo alla costruzione di una società più giusta e più libera.
Non sono tempi facili, questi, neppure per chi lavora con i giovani: mi riferisco a tutti gli insegnanti, agli operatori delle realtà associative, agli educatori che lavorano con passione e generosità. Trovare linguaggi adeguati ed efficaci, riuscire a comunicare in modo non superficiale, svolgere in mezzo ai giovani un’opera autenticamente educativa che oltrepassi l’involucro, non è facile.
Ma non sono tempi facili ‘ diciamolo ‘ neppure per i ragazzi. A volte hanno degli educatori da verità formato tascabile del ‘ognuno deve fare come si sente’ o quelli del ‘ci si diverte”. E quindi, alla fine, i nostri ragazzi restano privi di punti di riferimento credibili e appassionati alle loro vicende che li aiutino a crescere, a maturare, a formare la loro personalità, a superare le difficoltà che incontrano, a valorizzare le loro potenzialità. No, non sono tempi facili. Viviamo il tempo della complessità.
Tutti noi ci troviamo sommersi da una molteplicità confusa e spesso contraddittoria di messaggi e di informazioni: è un mondo frastornante nel quale è difficile orientarsi e trovare qualche criterio di selezione. Di fronte a questa situazione le tradizionali agenzie educative sembrano perdere terreno, fino quasi ad uniformare ogni cosa ed ogni proposta. Ci si può chiedere se esse ‘ e tra queste sicuramente anche la scuola ‘ non siano coinvolte nel silenzioso slittamento di senso e di intenzionalità che alcune esperienze formative e di ricerca hanno messo in luce per le politiche giovanili degli ultimi 10-15 anni.
C’è bisogno di una vera e propria inversione di rotta rispetto alla direzione degli ultimi anni durante i quali si è parlato moltissimo di ‘come’ si educa e di ‘come ‘ si insegna: tecniche, metodologie, competenze sono analizzate sempre più nel dettaglio. Viceversa si è parlato poco e sempre meno di ‘cosa’ e di ‘perché’ si educa, si comunica, si insegna, quasi fossero aspetti poco significativi o addirittura irrilevanti dell’azione educativa.
‘Impegnatevi” Mi ricordo di questo invito, sentito tantissime volte quando ero adolescente. Impegnarsi è vivere. Vivere veramente. Per gli altri. Attraverso gli altri. L’impegno dava un senso allo sforzo e ne era la ricompensa. Il cameratismo, l’amicizia, la solidarietà per tutta la vita: trovavamo nell’impegno una ragione di essere ed un valore emblematico. I momenti di dubbio erano rari, dove la parola impegno poteva sembrare un reclutamento, una perdita della responsabilità personale a vantaggio di una causa globale, che fosse sociale, politica, religiosa. Impegnarsi era amare, era l’essere persuasi di agire per un domani migliore.
La generazione nata intorno agli anni settanta non ha conosciuto questa ventata di ottimismo. E’ dall’infanzia che sente parlare di un mondo in crisi, di crisi della società, e che dire poi dei riferimenti tradizionali?
La nostra generazione non sogna più. Il nostro tempo fa appello al pragmatismo. Si tenta qualcosa e si vedrà se funziona. In caso di insuccesso, non se ne deve fare un dramma. Si può sempre ricominciare a vivere.
Mi sembra che un sentimento di impotenza nei confronti del futuro stia infettando la nostra mentalità.
C’è una parola spesso ricorrente: ‘Ho smesso di impegnarmi. Non avevo più voglia’.
La voglia, il desiderio personale, il piacere di essere destinati a questo o a quel compito, diventano scelte individuali soggette alla sola decisione della persona.
La persona non si sente più impegnata nella società, responsabile di un bene comune.
E’ necessario ridare vigore come insegnanti, educatori, genitori ad un patto di solidarietà nel mondo della scuola che coinvolga tutti (anche gli studenti) fino a costituire una vera ‘alleanza educativa’ tesa a formare le intelligenze e le coscienze, a far crescere persone responsabili.
Lasciare che nella scuola domini un clima di stanchezza e di rassegnazione ècome rinunciare a seminare per il futuro, arrendersi di fronte al blocco comunicativo che sembra volersi interporre tra le generazioni, accontentarsi di una cultura determinata più dall’accumulo quantitativo da carattere tecnologico che dalla capacità di orientarsi nelle scelte che vanno compiute con coerenza e puntando alla misura alta, alla quale tutti devono tendere.
Nel Convegno di Verona il Papa Benedetto XVI ha ribadito che ‘un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà’.
Per ricomporre un clima formativo convinto si possono segnalare due attenzioni particolarmente urgenti:
– la prima è quella di coltivare un vero e autentico senso della libertà, intesa come capacità di relazionarsi con l’altro, di tenersi la mano per fare della propria vita una esperienza di amore vero e di donazione di sé;
– la seconda attenzione è quella di non indietreggiare mai nell’affermare quei valori fondamentali che definiscono la dignità della persona.
Educare è una necessità, un impegno che occorre riprendere insieme, che veda il concorso di insegnanti, educatori, costituito da molteplici apporti interagenti in una rete di alleanze che sostiene, accoglie, promuove.
Ufficio diocesano per l’educazione e la scuola