La Veglia di preghiera per la Beatificazione Mons. Cavina


Conservare e offrire il sapore di Cristo


Mirandola, 14 giugno 2013 


 


 


Abbiamo sentito risuonare nel Vangelo le parole di Gesù: ‘Voi siete la luce del mondo’. Senza la luce noi siamo nelle tenebre e barcolliamo nell’oscurità. Senza la luce non si danno né colori né bellezza, non si vede il mondo che ci circonda né la via da percorrere. Gesù applica questa similitudine ai suoi discepoli e con essa intende affermare che la vita umana – se non è fermentata dalla presenza di Cristo nella storia, che trova la sua continuità nella presenza dei cristiani – rimane smarrita e priva di senso e di valore.


Nasce quindi spontanea la domanda: ‘In che senso i discepoli sono luce?’.


Nel giorno del nostro Battesimo siamo stati fatti partecipi della vita di Dio e la Chiesa ha messo in rilievo questa nostra dignità con un rito suggestivo: ‘Ricevi la luce di Cristo’!’. Per questo san Paolo può affermare: ‘Una volta eravate tenebra; ora però siete luce nel Signore’.


‘Nel Signore’: non da noi stessi. Siamo luce in quanto apparteniamo a Cristo, appartenenza che, come scrive san Paolo nella prima lettura, deve portare a manifestare il Signore Gesù nella nostra carne mortale. Da noi stessi non siamo che tenebre. E’ Gesù stesso che viene a noi e ci fa suo tempio. Il nostro compito è fare trasparire questa presenza luminosa di Cristo, permettere a Lui di essere luce attraverso noi.


Gesù, nel brano evangelico, afferma che la luce sono le opere buone. La luce, quindi, non consiste in pensieri o idee, ma in opere vive che si possono vedere, udire, toccare con mano. Cristo, infatti, afferma che coloro che lo seguono hanno la capacità di essere fautori di sviluppo, maturo, della vita dell’uomo. Si è luce del mondo quando si vive intensamente l’esperienza cristiana comunicando agli altri la gioia, l’amore e la speranza che la presenza di Gesù porta con sè; quando si aiutano i fratelli, che ancora non hanno scoperto Gesù, a scoprire che egli solo può dare veramente senso all’esistenza, coraggio di vivere, forza di riprendersi ad ogni istante. 


Tuttavia, chi serve la giustizia e vive l’amore non deve aspettarsi soltanto simpatia e gratitudine, deve essere disposto a soffrire l’ingiustizia. L’amore, infatti, può ottenere come risposta l’odio, la volontà di pace può provocare come risposta la violenza brutale, la difesa della verità può scatenare la menzogna, l’impegno per il Regno di Dio può portare con sé oltraggi e persecuzioni.


La santità di Odoardo sta tutta qui. Con la sua vita, le sue scelte, le sue opere egli è stato luce perché con esse ha manifestato Cristo. Si è trovato a confrontarsi con ideologie disumanizzanti, pagane e violente e non si è nascosto, non si è ritirato nell’anonimato e neppure si camuffato con la massa. E’ rimasto semplicemente al suo posto perché così richiedeva la sua vita cristiana attivamente e sinceramente vissuta. Egli dalla familiarità con Cristo, vissuta specialmente nel sacramento dell’Eucarestia, attingeva la capacità di organizzare l’uso del tempo, il modo di lavorare, di amare e di servire i fratelli; attingeva i criteri per opporsi alla manipolazione delle coscienze e alla distorsione della verità, per difendere la dignità della persona umana e la libertà di professare il proprio credo. Ha vissuto tutto questo non per mania di protagonismo, non per ricevere lodi dagli uomini, non per vanagloria e neppure per mancanza di prudenza, ma per un’esigenza di autenticità, per ‘dare gloria a Dio’ e per umanizzare il mondo.


Voi mi direte: ‘Sì, Odoardo è stato un ‘profeta della verità di Dio e dell’uomo’, ma poi è stato schiacciato e soppresso. E’ vero! Odoardo però sapeva che il cristiano non trova riposo nel consenso degli altri, ma solo nel suo Signore e nella comunione con i fratelli. Egli aveva ben presente la parola di Gesù: ‘Rallegratevi’perché i vostri nomi sono scritti nel cielo’. Cioè sempre siamo amati dal signore e ogni prova, anche quella estrema, è data per un bene più grande. Questa consapevolezza può consentire di viverla come offerta, con serenità e letizia.


Essere luce significa rimanere in rapporto con la verità. Si tratta di una questione molto delicata, specialmente oggi, perché viviamo in un tempo in cui la manipolazione dell’uomo si realizza soprattutto a livello della coscienza e del giudizio. Odoardo questa sera ci indica la strada sulla quale camminare per conservare e offrire il sapore di Cristo e vivere con gusto e utilità la vita. La strada consiste nell’affidarsi costantemente alla grazia del Signore, come fondamento della vita.


 


+ Francesco Cavina


Vescovo