Traccia dell’omelia di mons. Ermenegildo Manicardi, vicario generale
Nella selva affascinante dei simboli del racconto della passione secondo Giovanni ci soffermiamo sui simboli delle vesti e della tunica. A noi potrebbero sembrare del tutto minori, ma per l’Evangelista sono così importanti che vi dedica un consistente paragrafo. In un anno di guerre nel mondo, di lacerazioni sconsolanti della Chiesa e di tensioni anche nella nostra diocesi, osserviamo come San Giovanni mediti sul fatto che la tunica di Cristo, che rappresenta la Chiesa non sia stata lacerata per darne un pezzo a ciascuno dei quattro soldati. Riascoltiamo il racconto:
“I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: ‘Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca’. Così si compiva la Scrittura, che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. E i soldati fecero così” (Gv 19,23s).
Il diritto dei pannicularia e la divisione delle vesti
Tutto quello che il condannato a morte portava addosso apparteneva per diritto agli esecutori dell’esecuzione. I soldati, dunque, subito dopo la crocifissone di Gesù, nudo sulla croce, cominciano a “pagarsi” dividendo tra loro le vesti che gi hanno tolto. Si tratta delle vesti che Gesù si era levato lui stesso per lavare i piedi ai discepoli (Gv 13,4. 12) e che ora nella morte gli vengono del tutto strappate (19,23). L’Evangelista annota che questa scelta ha dato compimento al Salmo 22, che comincia con le parole Dio mio dio mio perché mi hai abbandonato, che Gesù ha gridato morendo e che prevedeva proprio questo fatto: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. Il riferimento alla Bibbia è essenziale per comprendere che la passione e la morte di Gesù non sono un disastro umano portato avanti dagli uomini, di nascosto da Dio, ma Dio è ben presente anche al cuore di questo dramma del male. I soldati di Cesare fanno in realtà quello che il Padre di Gesù aveva già scritto nel suo piano.
Il simbolo della tunica senza cuciture
La tunica è il simbolo più importante, soprattutto perché è tessuta tutta di un pezzo ed è simbolo dell’unità della Chiesa. La devozione popolare l’ha spesso guardata, immaginandola con commozione, come la tunica tessuta dalla Vergine Madre di Gesù. La teologia identifica questa veste di Gesù come una figura della Chiesa. La Chiesa è il vestito senza cuciture e senza strappi attraverso il quale Gesù è presente nel mondo e si rende visibile nella storia di oggi. L’unità della Chiesa è essenziale della testimonianza del Vangelo. Una Chiesa lacerata presenta in realtà la peggiore contro testimonianza al Vangelo. Pensiamo al dramma che per secoli ha insanguinato l’Europa nelle lotte tra Cattolici e vari gruppi di Protestanti. Nell’ultima cena Gesù ha detto: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa” (Gv 17,20s).
Anche oggi, chi strappa la comunione della Chiesa, che è la tunica con la quale Cristo si mostra all’umanità, prolunga la passione del Signore rendendola ancora più brutale di un tempo. I veri “piccoli” non pretendono mai che le loro ragioni siano le migliori e vadano imposte a tutti i costi. La simpatia e l’amicizia tra credenti è un valore supremo all’interno e all’esterno. Guai a credersi più credenti o più autentici di altri. Non dimentichiamo mai la difficile parola del Signore: “quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: ‘Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare’”(Lc 17,10). Chi dice “io sono di più”, oppure I’m the first non è certo dalla parte del Vangelo. Chi invece sa soffrire per cucire la tunica della Chiesa, tesse insieme a Maria.