Messa Crismale interdiocesana in Cattedrale a Carpi

La Messa Crismale nella Cattedrale di Carpi è stata presieduta dal vescovo Erio Castellucci e concelebrata dai sacerdoti delle Diocesi di Carpi e di Modena-Nonantola, segno di comunione delle due Chiese intorno al proprio Pastore

Grande partecipazione alla Messa Crismale nella Cattedrale di Carpi, la sera di mercoledì 16 aprile, presieduta dal vescovo Erio Castellucci e concelebrata da circa 200 sacerdoti delle Diocesi di Carpi e di Modena-Nonantola, fra cui i vicari generali, monsignor Gildo Manicardi e monsignor Giuliano Gazzetti, e monsignor Lino Pizzi, vescovo emerito di Forlì-Bertinoro. I canti sono stati eseguiti dalle Corali riunite di Carpi e di Mirandola e si è offerto ai fedeli non udenti il servizio di traduzione in Lis (lingua dei segni italiana).

Una liturgia “storica”, come l’ha definita monsignor Manicardi, nel suo saluto all’inizio, perché ha reso manifesta la comunione delle due Chiese intorno al proprio Vescovo, il quale ha benedetto gli oli santi – il crisma, l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi – che saranno utilizzati per amministrare i sacramenti.

“La liturgia crismale – ha affermato monsignor Castellucci nell’omelia – mette al centro il simbolo dell’olio, per ricordarci la fondamentale dignità del sacerdozio battesimale, con il quale siamo entrati nell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo; e per rammentarci la ministerialità del sacramento dell’Ordine, con il quale alcuni di noi – diaconi, presbiteri e vescovi – sono entrati nel servizio di Gesù al suo popolo. ‘Ministro’ proviene da ‘minus’: chi riceve l’unzione dell’Ordine non diventa ‘più’ degli altri battezzati, ma accetta anzi di diventare ‘meno’, mettendosi ai piedi dei fratelli e delle sorelle, per dedicarsi stabilmente alla crescita del regno di Dio”. Proprio ai ministri il Vescovo ha poi rivolto l’esortazione a nutrire gli stessi sentimenti di Cristo Gesù, citando la lettera di San Paolo Apostoli ai Filippesi: “Se coltiviamo questi sentimenti, che per Paolo non sono emozioni ma atteggiamenti, la nostra unzione non è solo efficace ma è gioiosa; se coltiviamo invece dei risentimenti, la nostra unzione diventa triste. Un diacono, un prete o un vescovo tristi, danno una contro-testimonianza che non pareggia nemmeno le prediche più belle, i riti più curati o le iniziative meglio organizzate”. Le Scritture non nascondono i sentimenti di Cristo, ha sottolineato: la compassione verso peccatori, poveri, sofferenti e malati; la misericordia, che arriva al perdono di chi lo ha offeso e accusato; l’umiltà, che si traduce anche in mitezza. “Il nostro ministero è un grande dono, se vissuto con gioia, entrando nei sentimenti di Gesù – ha concluso -. Allora è un ministero ‘giubilare’, che porta l’annuncio dell’anno di grazia del Signore ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi”.

All’inizio della Messa si sono ricordati i sacerdoti di entrambe le Diocesi dei quali nel 2025 ricorrono particolari anniversari di ordinazione: per Carpi il 50° di monsignor Gildo Manicardi, il 25° di fra Marcello Panzani, dei Fratelli di San Francesco, guardiano del convento di San Martino Secchia, e il 10° di padre Crispin Tshilulu dei Missionari Servi dei Poveri, vicario parrocchiale di San Martino Carano.

La Messa Crismale è stata preceduta, sempre in Cattedrale, dalla meditazione proposta dal vescovo Castellucci ai sacerdoti e ai diaconi delle due Diocesi, dal titolo “La solitudine del crocifisso”.

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Omelia nella Santa Messa Crismale
Cattedrale di Carpi
16 aprile 2025

(Is 61,1-3,6,8b-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21)

All’inizio tutto farebbe pensare ad una scena quotidiana: “Gesù venne a Nazareth”, dunque nel suo villaggio, nel suo ambiente domestico; là “dove era cresciuto” giorno dopo giorno, senza alcun clamore; “e secondo il suo solito” entrò in sinagoga, quindi compiendo un gesto abituale, nulla di straordinario; anche la lettura del rotolo di Isaia ha il sapore di un’azione ripetitiva, tradizionale: chissà quante volte in sinagoga avevano ascoltato quel brano messianico. Da questa inquadratura di Luca, il lettore si aspetta una scena abitudinaria. E invece si apre uno squarcio nuovo, inaspettato, straordinario: “oggi si è compiuta questa Scrittura, che voi avete ascoltato”. I presenti attendono un commento e arriva un compimento: e quando è il Signore ad operare, il compimento eccede sempre l’attesa. Infatti Gesù non aggiunge parole alle parole di Isaia, ma le trasforma in un volto, il suo. Gesù non aggiunge carta al rotolo del profeta, ma trasforma quella carta in carne, la sua.

Che intenda compiere Isaia, dare volto alle parole e carne alla carta, lo dimostra il programma con cui si assume la missione giubilare del profeta: “annunciare l’anno di grazia del Signore”. Una missione che non parte dalle qualità del prescelto da Dio, ma dall’unzione, con la quale Dio, attraverso il suo Spirito, sceglie chi inviare. L’unzione del Signore non mira ad aumentare i titoli e gli onori dell’unto, ma a farne ministro di grazia per i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi. L’unto del Signore, invece di proteggersi in luoghi sacri e immuni dal mondo, deve immergersi nel mondo, anzi in quella parte di mondo che il mondo stesso esclude: anziché le ville dei ricchi, deve praticare le capanne dei poveri; anziché i portoni dei potenti, deve varcare le sbarre dei carcerati; alle luci della ribalta, deve preferire la visita ai ciechi; all’intesa con gli oppressori, deve anteporre il conforto agli oppressi. Gesù darà volto e carne proprio a queste parole, in un modo che nessun ebreo poteva aspettarsi: tanto che molti non lo riconosceranno Messia.

La liturgia crismale mette al centro il simbolo dell’olio, per ricordarci la fondamentale dignità del sacerdozio battesimale, con il quale siamo entrati nell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo; e per rammentarci la ministerialità del sacramento dell’Ordine, con il quale alcuni di noi – diaconi, presbiteri e vescovi – sono entrati nel servizio di Gesù al suo popolo. “Ministro” proviene da “minus”: chi riceve l’unzione dell’Ordine non diventa “più” degli altri battezzati, ma accetta anzi di diventare “meno”, mettendosi ai piedi dei fratelli e delle sorelle, per dedicarsi stabilmente alla crescita del regno di Dio. Ai piedi, specialmente, di quelli che non fanno gola a nessuno, perché non possono esibire, nel teatro del mondo, ricchezza, potere, bellezza, salute, cultura, libertà; di quelli che non possono far leva sulla loro autonomia e reclamano aiuto materiale, morale, spirituale. E l’olio per l’unzione degli infermi ci ricorda che tutti siamo fragili e in qualche momento della nostra vita abbiamo bisogno di un sostegno speciale da parte del Signore.

Ai ministri, in particolare, ripeto l’espressione con cui Paolo introduce nel mistero dello svuotamento e dell’esaltazione di Gesù, su cui abbiamo meditato poco fa: “abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù” (Fil 2,6a). Se coltiviamo questi sentimenti, che per Paolo non sono emozioni ma atteggiamenti, la nostra unzione non è solo efficace ma è gioiosa; se coltiviamo invece dei risentimenti, la nostra unzione diventa triste. Un diacono, un prete o un vescovo tristi, danno una contro-testimonianza che non pareggia nemmeno le prediche più belle, i riti più curati o le iniziative meglio organizzate.

Le Scritture non nascondono i sentimenti di Cristo. Ne ricordano spesso la compassione verso peccatori, poveri, sofferenti e malati: sentimento controcorrente in un mondo nel quale queste categorie erano marginalizzate e colpevolizzate, cosa che del resto accade anche oggi. Come viviamo noi ministri questo sentimento di Cristo, la compassione? Forse qualche volta prende il sopravvento la prestazione e ci avvolge un senso di distacco; forse l’indifferenza denunciata tante volte da papa Francesco come cifra del nostro tempo si insinua anche dentro di noi e diventa una pellicola protettiva. O magari questo sentimento si traduce nel suo contrario, in risentimento, perché coloro ai quali abbiamo dato compassione non l’hanno ricambiata e ci sono parsi ingrati.

I Vangeli rilevano poi, tra i sentimenti di Gesù, la misericordia, che arriva al perdono di chi lo ha offeso e accusato. E noi come viviamo questo sentimento del Signore? Con la preghiera e i sacramenti – soprattutto la Riconciliazione – il Signore sana molte nostre ferite e ci aiuta a perdonare; e tuttavia circolano dei risentimenti tra di noi, che feriscono la gioia del ministero: risentimenti ai quali consentiamo di abitare il nostro cuore anche per anni. Il perdono accordato ha una forza incredibile per sanare il cuore di chi si è sentito offeso e per testimoniare una fede attraente. Di sicuro non è facile accettare certi giudizi su di noi, accuse o preconcetti; ma tutto può essere sciolto nella misericordia di Dio, l’unico a sondare i cuori. Ci rendiamo conto, nella nostra pastorale, che è proprio la frequentazione di poveri, carcerati, ciechi e oppressi, a ridimensionare tante costruzioni mentali, a riportarci alla realtà, a riattivare il senso autentico del nostro ministero, aiutandoci a rivestire i sentimenti di Cristo e scrollarci di dosso i risentimenti del mondo.

Infine, tra i tanti sentimenti del Signore, colpisce l’umiltà, che si traduce anche in mitezza. Nelle beatitudini ha proclamato “beati i miti” (Mt 5,5) e lui stesso si definisce “mite e umile di cuore” (Mt 11,29). E Paolo dice che “umiliò se stesso” (Fil 2,8). Lui, il Pastore, si fa agnello, il Maestro si fa servo, il Benedetto che viene nel nome del Signore si fa maledizione per noi. Il ministro che serve il popolo di Dio entra in questi sentimenti, e non in una carriera, in un cursus honorum. Certi risentimenti in me sono forse dovuti a delusioni per mancati riconoscimenti, a ricompense attese e mai arrivate. Forse una persona, magari un prete o un diacono, ha ricambiato con uno sgarbo il bene che aveva ricevuto da me. Forse un vescovo – uno a caso – non mi ha valorizzato, non mi ha capito, ha detto e fatto cose che mi hanno ferito, o ha fatto delle preferenze, o non si è speso abbastanza per risolvere un problema. In alcune occasioni, tutti ci siamo legati al dito qualche offesa, vera o presunta, e magari non abbiamo più dita sufficienti a cui stringere nodi, anche contando quelle dei piedi. I risentimenti, quando non si sciolgono nei sentimenti di Gesù, danno tristezza.

Il nostro ministero è un grande dono, se vissuto con gioia, entrando nei sentimenti di Gesù. Allora è un ministero “giubilare”, che porta l’annuncio dell’anno di grazia del Signore ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi. La forza liberatrice del Vangelo circola anche oggi nelle nostre comunità e nelle nostre società, pur così lacerate da tanti conflitti, tensioni e ingiustizie; circola e libera, purché trovi cuori nei quali i risentimenti si sono dissolti nei sentimenti del Signore: compassione, perdono, umile mitezza.

+ Erio Castellucci

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Omelia di Mons. Castellucci –>

Meditazione prima della Messa crismale –>

Pasqua, celebrazioni in Cattedrale a Carpi

Sabato 19 aprile, la solenne Veglia Pasquale con l’annuncio della Resurrezione del Signore sarà presieduta dal vicario generale, monsignor Gildo Manicardi, con inizio alle ore 21.30.
Domenica 20 aprile, alle ore 10.45, il vescovo Erio Castellucci presiederà la Messa Pontificale del giorno di Pasqua.

 

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