Santa Messa Crismale
Cattedrale di Carpi – Mercoledì 13 aprile 2022
Introduzione del vicario generale monsignor Gildo Manicardi
La Messa crismale è l’eucaristia in cui viene consacrato il Crisma, Messa in cui viene consacrato l’Olio profumato. La celebrazione di questa sera può essere identificata bene nell’icona del Salmo 133:
Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!
È come olio profumato versato sul capo,
che scende sulla barba, la barba di Aronne, che scende sull’orlo della sua veste.
L’immagine allude alla consacrazione del sommo sacerdote ebreo.
Dal capo scene sulla barba e dalla barba sul petto su cui poggia l’Efod che,
con le dodici pietre preziose, è il simbolo delle dodici tribù d’Israele.
Questa sera l’olio profumato scende dal cielo sui ministri della Chiesa e sul popolo. È perciò per noi il momento di gioire per l’essere insieme Chiesa che viene consacrata dal crisma, che il Signore risorto e lo Spirito Santo effondono su di lei. Stasera la chiesa di Carpi consacra il Crisma che attraverso il ministero ordinato di oggi sarà uno strumento concreto della cura di Dio per i credenti.
È il momento di rallegraci con te, carissimo don Erio, che sei il nostro Vescovo e consacri l’olio profumato – il Sacro Crisma – anche per noi. Per te è la terza Messa crismale che presiedi in questa Chiesa cattedrale, con noi e per noi. Ti ringraziamo per l’amabilità con cui stai in mezzo a noi, per la gioia che condividiamo, per lo sforzo comune di suggerire ciò che è importante migliorare.
Ma è il momento di ringraziare anche i presbiteri e i diaconi che rendono presenti i sacramenti nelle comunità particolari. In primo piano questa sera mettiamo quei sette ministri che quest’anno celebrano particolari anniversari. Li elenchiamo per inserirli meglio nella nostra preghiera:
Celebrano 25 anni di ordinazione presbiterale
- don Carlo Bellini, parroco di San Giuseppe
- don Jean Marie Vianney Mun-yaru-yenzin parroco di Cividale e cappellano dell’Ospedale di Mirandola
20 anni di ordinazione presbiterale
- don Jiju Norbert Kokhu-karyil, Presbitero a san Bernardino Realino
10 anni di ordinazione presbiterale
- don Gianni Zini, Presbitero Direttore della pastorale della salute
- don Francesco Tsiarosoa, Vice parroco di San Giuseppe Artigiano
Celebrano poi 20 anni di ordinazione diaconale
- Stefano Croci della Parrocchia della Cattedrale
- Roberto Tamelli della Parrocchia di San Giuseppe Artigiano
Il crisma consacrato questa sera servirà per le cresime e forse per qualche ordinazione al ministero, se Dio e gli uomini lo vorranno.
Con questi sentimenti, a tutti buon ingresso nel Triduo pasquale e nella Santa Pasqua.
Amen
Santa Messa Crismale
Cattedrale di Modena e Cattedrale di Carpi – Mercoledì 13 aprile 2022
(Is 61,1-3,6,8b-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21)
“La Messa crismale è quasi epifania della Chiesa”: questa impegnativa affermazione, che si trova nel Pontificale romano (cf. Benedizione degli oli e dedicazione della chiesa e dell’altare, p. 10), concentra un passo famoso della Costituzione Sacrosantum Concilium del Vaticano II sulla Liturgia, che afferma: “la principale manifestazione della Chiesa si ha nella piena e attiva partecipazione dell’intero popolo di Dio”, soprattutto quando è riunito nella Chiesa cattedrale insieme al vescovo, al presbiterio e ai ministri, nella medesima celebrazione eucaristica (cf. n. 41). Parlare di questa Messa come di una “epifania”, di una speciale “manifestazione”, farebbe pensare alla celebrazione della gloria della Chiesa. L’epifania di Cristo, infatti, è la sua manifestazione a tutti i popoli, con i magi che lo adorano e gli offrono doni, e la sua manifestazione a Israele, nel miracolo delle nozze di Cana. L’epifania della Chiesa, allora, non può essere che la dimostrazione di ciò che è: un popolo di Dio in cammino, ministri e laici, consacrati e sposi. Manifestazione sì, però non ostentazione. L’epifania di Gesù, infatti, oltre che a Betlemme insieme ai magi e a Cana insieme agli sposi, comprende anche il battesimo al Giordano insieme ai peccatori. C’è una nota apparentemente stonata in questa Epifania: finché Gesù si manifesta re, Dio e messia, tutto bene; finché si manifesta Sposo, ottimo; ma quando si manifesta debole, si mette in fila con i peccatori e si sottopone al rito purificatore, qualcosa scricchiola. Eppure, è proprio lì che il Padre si fa sentire, diversamente da Betlemme e da Cana: è su quelle acque fangose che si ode per la prima volta la voce dal cielo: “questi è il Figlio mio, l’amato” (cf. Mt 3,17). La voce del Padre non risuona a Betlemme, e neppure a Cana, quando sarebbe stato più logico compiacersi del Figlio mentre veniva adorato e compiva miracoli; la voce del Padre risuona invece al Giordano, quando il Figlio si immerge nella situazione umana, torbida e melmosa, pur essendo lui puro e santo. L’epifania del Signore non sarebbe completa se dimenticassimo l’abbassamento, la condivisione della nostra condizione fin dai suoi primi passi.
L’epifania della Chiesa, allora, è tutt’altro che uno sfoggio. Noi, popolo di Dio in tutte le sue componenti, corpo di Cristo con le sue diverse membra, tempio dello Spirito edificati sul fondamento apostolico, oggi ci manifestiamo, ci mettiamo per così dire in mostra, non certo per gettare fumo negli occhi ed esibire una gloria che appartiene solo a Dio, ma per celebrare lui, per manifestare che noi, pur essendo immersi nel fango dei nostri peccati e impastati nelle nostre fragilità, pur camminando in fila con tutti gli altri esseri umani, vogliamo accogliere la sua voce di Padre, che proclama su tutti: “ecco i miei figli, quelli amati”. Non siamo un popolo di selezionati o arrivati, siamo un popolo di peccatori in cammino. Questa è l’epifania della Chiesa. Ed è il motivo per cui la liturgia della parola di oggi mescola parole e immagini elevatissime – come consacrazione, unzione, missione, grazia, sacerdozio – con parola umili e ordinarie. Nella stessa pagina evangelica, il debutto di Gesù, si intrecciano passaggi solenni e richiami ordinari. I passaggi solenni si rifanno al profeta Isaia: “lo Spirito del Signore è sopra di me”, “mi ha consacrato con l’unzione”, “mi ha mandato ad annunciare” … una partenza dall’alto, un incipit molto elevato, che crea l’attesa di qualche celeste rivelazione. Seguono però riferimenti all’ordinaria situazione umana: poveri, prigionieri, ciechi. oppressi. Dal cielo alla terra, anzi, sottoterra. Passando attraverso la vita quotidiana: infatti il debutto di Gesù nella sinagoga della sua città è introdotto da richiami domestici: “venne a Nazareth, dove era cresciuto”, “secondo il suo solito” “entrò nella sinagoga” … è una cornice familiare, che non rimanda ad eventi straordinari, ma all’esistenza di ogni giorno. Da una parte si sente l’aria del cielo, una missione straordinaria, una consacrazione da parte di Dio; dall’altra si sente il sapore della terra, una vita ordinaria, un paesino come tanti, i colori del villaggio, la famiglia, gli amici, il lavoro, la liturgia sinagogale. Gesù è eccezionale nella sua ordinarietà ed è ordinario nella sua eccezionalità. “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. In quell’oggi c’è già tutto: è l’oggi di Dio, l’anno di grazia del Signore che Gesù proclama; è anche l’oggi della casa di Nazareth, che comprende le faccende domestiche, la preparazione dei pasti, le pulizie in casa, i giochi in cortile, il lavoro nella bottega e i dialoghi con gli amici. L’oggi di Dio non è un tempo divino che sorvola il tempo umano: è il tempo divino attraverso il tempo umano.
L’epifania della Chiesa, per essere davvero manifestazione di Gesù, ha bisogno di impastare l’annuncio del Vangelo con le vicende quotidiane, l’oggi di Dio con l’oggi dell’uomo. Gesù proclama l’anno di grazia del Signore ai fedeli nella sinagoga, ma non solo per loro: lo proclama per i poveri, i prigionieri, i ciechi e gli oppressi. La sua Epifania è la manifestazione dell’amore di Dio per loro. La liturgia solenne di oggi diventa davvero epifania della Chiesa, se in questa celebrazione eucaristica portiamo l’oggi della vita quotidiana, la condizione comune delle persone, la normalità dell’esistenza: se portiamo all’altare, come fedeli e come ministri, le lacrime dei fratelli e delle sorelle sofferenti che incontriamo, i dubbi di coloro che cercano e non trovano, la rabbia di chi vive oppresso e sfruttato, la testimonianza di chi lavora onestamente, educa i figli e i nipoti, il dolore di coloro che sperimentano malattia e fragilità e l’ansia dei loro familiari, i sogni dei ragazzi e dei giovani, le preghiere delle persone umili, le delusioni di chi nelle nostre comunità non ha trovato accoglienza, le ferite e le gioie di ogni giorno. Questo “oggi” umano confluisce nell’offerta del pane e del vino e diventa l’“oggi” di Dio e l’epifania della Chiesa.
+ Erio Castellucci