Omelia di Mons. Castellucci nella Santa Messa crismale 2021
(Is 61,1-3,6,8b-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4,16-21)
Papa Francesco sta riabilitando l’idea del “sogno”: la richiama spesso, soprattutto quando si rivolge ai giovani; l’ha persino rilanciata – in maniera inconsueta – in una enciclica sociale, l’ultima – la “Fratelli tutti” – dove ritorna per venti volte. Sappiamo bene, del resto, come la Bibbia sia percorsa da sogni, rivelazioni divine che accompagnano e orientano le scelte umane. Di Gesù i Vangeli non riportano alcun sogno; ma in realtà è stato il più grande sognatore della storia. Lui sognava ad occhi aperti, sognava senza che le sue facoltà mentali si allentassero o si spegnessero, sognava senza perdere la coscienza vigile, anzi svegliando le coscienze. Il suo grande unico sogno aveva un nome, che ricorre sulla sua bocca cento volte nei Vangeli: il suo sogno si chiamava “regno di Dio”. Non è per Gesù solo un paradiso futuro, in mano a Dio; è anche uno stile terreno, un “mondo nuovo” che comincia già ora a crescere, come il lievito e il grano di senapa, prendendo corpo là dove uomini e donne convertiti si fanno prossimi, sono poveri in spirito, miti, misericordiosi, accoglienti.
Nel Vangelo di oggi è appena risuonato il manifesto programmatico di Gesù, il suo grande sogno del regno di Dio. Ispirandosi a Isaia, nella sinagoga di Nazareth, Gesù manifesta la sua missione. Quello che a me colpisce di più, in questa scena programmatica, è il decentramento da sé. Lui si qualifica non per attirare l’attenzione su di sé, per aumentare l’autostima o attirarsi dei consensi; lui si qualifica come “unto” per attirare l’attenzione sui poveri, sui prigionieri, sui ciechi e sugli oppressi. Gesù non riesce a parlare di sé senza parlare dei fratelli più piccoli. Lui non coltiva dei sogni di grandezza, come qualche volta capita a noi, ma semmai dei sogni di piccolezza. In un certo senso forza la grammatica: ogni volta che dice “io”, comprende il “noi”, il “voi” e il “loro”. È impossibile separare in lui la vita dalla missione.
Forse la Chiesa ci dona questo Vangelo nella Messa crismale proprio per aiutarci a ritrovare il senso missionario dell’unzione sacramentale, che non serve solo a dare dignità a chi la riceve – sia battezzato, cresimato oppure ordinato – ma serve a sostenere il dono di sé. Che cosa suscita la passione delle comunità cristiane e la passione dei loro ministri? Quali argomenti, progetti e iniziative accendono il nostro cuore? Dove impegniamo le nostre energie? Quali sono i nostri sogni? Credo che tutti abbiamo abbandonato i sogni di grandezza per la Chiesa, sogni di solidità e imponenza; lo Spirito e la storia ci dicono chiaramente che è il tempo del lievito e del granello di senapa e non certo il tempo della rocca fortificata e delle truppe da combattimento. Il lievito e la senapa hanno la consistenza, poverissima, della polvere: eppure, così insignificanti, contengono delle energie che, quando entrano nella pasta, come fa il lievito, e nel terreno, come fa il seme, crescono, danno vita ad altro da sé, realizzano la loro missione. Se invece vogliono conservare se stessi, rimangono sterili e sono totalmente inutili. Il mio sogno come cristiano, il mio sogno come ministro, è un sogno al singolare o al plurale? È il sogno dell’antico Giuseppe, dove gli altri fratelli si inchinano davanti a lui, o è il sogno di Gesù, dove lui si china a lavare i piedi dei discepoli?
La Chiesa, come ci ricorda spesso il Papa, potrà continuare a portare avanti la missione di Gesù, unto dallo Spirito, nella misura in cui supererà la tentazione di fermarsi alla prima persona singolare e la aprirà al plurale. Non c’è bisogno, lo sappiamo bene, di fare grandi cose: il “regno di Dio” ci domanda solo di farci lievito e senapa, di accostare le persone ferite e vulnerabili – moltiplicatesi in questo anno e mezzo di pandemia – e di vivere tra di noi la gioia di essere fratelli. Un’associazione, una parrocchia o una diocesi, anche bene organizzate, desterebbero poco interesse se fossero litigiose, tristi, brontolone. Gesù ha realizzato il suo programma evitando il lamento continuo, e anzi seminando gioia, passione, entusiasmo. A partire dal piccolo e dai piccoli. È bello aderire a questo programma, al quale stiamo donando la nostra esistenza, perché ci esime dal conteggio dei risultati e ci chiede solamente di essere fedeli “nel poco”, di abbandonare i calcoli strategici complicati e di vivere nella semplicità della fede i giorni che il Signore ci sta regalando.
+ Erio Castellucci
Il saluto del Vicario Generale
Insieme con te per una Chiesa in uscita
Carissimo Arcivescovo Erio,
cari presbiteri e diaconi,
amato popolo della Chiesa di Carpi,
è una gioia santa e serena essere qui, riuniti come Chiesa e come Presbiterio, insieme col nostro Vescovo e in questa cattedrale.
Siamo davvero all’apice della celebrazione pasquale: il Signore è salito al cielo per essere presso il Padre, seduto alla sua destra, ma anche per essere accanto a noi, con la forza dei suoi doni sacramentali, destinati alla nostra missione evangelizzatrice. Dall’acqua e dal sangue che escono dal costato trafitto del Crocifisso Risorto fluisce l’onda che da la forza ai sacramenti e la dolcezza al nostro cuore.
O Redentore, ascolta il canto dei fedeli che inneggiano a te.
Solitamente questo inno segna la fine del cammino quaresimale, avvia al triduo sacro. Le circostanze della pandemia Covid 19 hanno consigliato uno spostamento di date che sta arricchendo le note positive di questo evento. Cantiamo al nostro Redentore risorto, non al Redentore che si incammina a portare la croce ma al Redentore che, vivo per sempre nell’abbraccio del Padre, ci ripete «come il Padre ha mandato me, adesso io mando voi: ricevete il nostro Spirito». Benediremo gli oli per i catecumeni e i malati e consacreremo il santo Crisma che fa risplendere il volto e profuma il corpo dell’uomo e gli conferisce forza celeste. Sono i doni che vengono della morte di Cristo per amore del Padre e per solidarietà con noi. E sono il traboccare sulla terra della vita piena del Risorto.
Stasera siamo nella gioia anche perché alcuni nostri presbiteri raggiungono quest’anno anniversari importati.
- fra Giuseppe Azzoni (1996) concluderà i primi 25 anni di sacerdozio il 25 maggio p.v.;
- Padre Hippolyte Tshibuabua Kabiena Kukuila (1996), il Vicario episcopale per la vita religiosa delle nostre due diocesi, doppierà lo stesso traguardo il 30 giugno;
- il concordiese don Antonio Spinardi (1971) compirà addirittura 50 anni di sacerdozio il 6 giugno prossimo, in quello che oggi è il giorno della memoria del beato Odoardo Focherini,
C’è di che ringraziare il Signore per la sua generosità e per la fedeltà vissuta da questi nostri presbiteri, che – insieme – hanno ormai offerto un secolo intero di servizio sacerdotale.
Anche a te carissimo Vescovo Erio, che per la seconda volta presiedi per noi e con noi questa celebrazione, va il nostro augurio più caro per il tuo complesso ministero episcopale.
Nel tuo motto prelatizio hai scelto le parole impegnative “collaboratori della vostra gioia”. Ci pare che questa tua speranza si stia attuando; chiediamo perciò al Signore di essere capaci di viverla tutti, proprio tutti, insieme con te, per una Chiesa in uscita verso i bisogni, sterminati ma spesso segreti, dell’uomo e delle donne di oggi.
Don Gildo