Prima Domenica di Quaresima (anno B)
(Letture: Gen 9,8-18; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15)
Il deserto quest’anno ci appare in tutte le sue dimensioni: ci si presenta davanti agli occhi con dei contorni vivissimi. Il deserto che, per la Chiesa, è l’ambientazione della Quaresima, in ricordo dei 40 giorni che Gesù ha trascorso nel deserto di Giuda, in prossimità di Gerusalemme; il deserto quest’anno vive nei nostri occhi e nel nostro cuore nelle tonalità più svariate.
Il deserto è il simbolo della solitudine: Gesù trascorre da solo quei quaranta giorni. Non è del tutto solo: c’è il diavolo, ci sono le bestie selvatiche e ci sono gli angeli, ma non ci sono altri esseri umani; è davvero “distanziato”. La città è lontana.
Noi abbiamo vissuto in questo anno la sensazione che il deserto avesse preso possesso delle nostre città: specialmente nelle settimane del lockdown la città era diventata un deserto, e anche le bestie selvatiche hanno potuto avvicinarsi, quasi visitare le nostre città, perché gli esseri umani dovevano per lo più restare rintanati. Il deserto è anche il luogo del pericolo, è il luogo dell’essenzialità. Nel deserto non si portano elettrodomestici, non si portano tutti quegli optional che spesso noi utilizziamo nella vita di ogni giorno. Nel deserto si porta se stessi, un po’ di cibo e molta acqua.
Abbiamo vissuto un anno all’insegna dell’essenzialità: abbiamo imparato e stiamo imparando a distinguere meglio ciò che davvero conta nella vita, e che ha a che fare con il senso della esistenza, e ciò che invece, pur attraendo troppe volte le nostre passioni, è secondario, è utile ma non è così essenziale; abbiamo capito come ciò che conta alla fine è la relazione, è quella gamma di relazioni autentiche che costituiscono il tessuto bello della nostra esistenza. A partire dalla relazione con Dio, che dà spessore a tutte le altre; per comprendere poi le relazioni umane vere, che si incidono nel cuore. Con questa strana miscela di distanziamento e di desiderio di relazione, di isolamento e bisogno dell’altro, abbiamo trascorso questo anno e certamente ci aspetteranno altri mesi. Tutto rende più vivo in noi il desiderio di un senso dell’esistenza.
Gesù esce dai quaranta giorni nel deserto, però, non abbattuto, non accasciato, ma rinforzato, tant’è vero che dalla Giudea si reca subito in Galilea e comincia a girare per le strade, perché ha capito qual è l’essenziale della sua missione: annunciare il vangelo, la gioia, il regno di Dio! Anche noi dal deserto possiamo uscire rinnovati, senza cancellare o censurare le grandi sofferenze che abbiamo vissuto e stiamo vivendo e che certamente vivremo ancora, senza dimenticare – anzi avendo bene impressa negli occhi – la fatica di chi ha dovuto affrontare dei lutti, di chi ha vissuto nella apprensione per la lontananza dei propri cari, di chi sta vivendo situazioni difficili dal punto di vista economico, sociale, educativo; senza dunque dimenticare tutto questo, occorre adesso che dirigiamo i nostri occhi verso la Galilea.
Il deserto di Giuda, che non abbiamo certamente desiderato, ci è venuto addosso. Ora è necessario già cominciare a guardare al “dopo” e non possiamo farci trovare a terra, occorre che ripartiamo con slancio, che usciamo dall’isolamento e dalla solitudine. Che cosa fa Gesù appena terminata l’esperienza del deserto in Giudea e appena trasferitosi in Galilea? Comincia a chiamare dei collaboratori, comincia a radunare apostoli, discepoli, folle. La solitudine gli è servita per capire ancora meglio che il suo annuncio doveva creare una rete di relazioni, di collaboratori, di destinatari; e proprio da quell’esperienza esce rinvigorito. Non da solo però: a quel punto ha bisogno degli altri.
Noi usciremo da questa crisi se dal deserto diventeremo di nuovo città, se creeremo delle reti, come sta già avvenendo; se ci daremo di nuovo la mano, se quando sarà possibile recupereremo tutti gli abbracci mancati, tutte le carezze che non abbiamo potuto dare o ricevere, se di nuovo torneremo ad essere comunità unita. Allora il deserto del cuore non ci avrà conquistato. Perché questo è il grande problema. La desertificazione delle città rischia di diventare desertificazione dei cuori; e se ciascuno resta raggomitolato su se stesso, non ne esce: le bestie selvatiche rischiano di diventare più forti degli angeli. Noi dobbiamo fare emergere l’opera degli angeli, forse trovare anche nuove modalità per esprimere tutto il bene che in questo anno e anche nei prossimi mesi si compie e che viene spesso nascosto, perché di sua natura il male esplode mentre il bene si radica; un bene certamente più grande del male e della sofferenza.
Le due compagnie di Gesù nel deserto: le bestie selvatiche (che possono essere ben riassunte da questa bestia che è il covid-19) e gli angeli (che possono essere rappresentati da tutti coloro che si prendono cura, ad ogni livello, dell’altro) non sono simmetrici: devono vincere gli angeli. Dentro il cuore di Gesù hanno vinto gli angeli e per questo, nel seguito della sua vita, ha cercato di creare comunità.
Chiediamo al Signore che ci dia la forza per guardare verso la Galilea, per creare comunità, per vincere la desertificazione del cuore, per fare emergere quel bisogno di relazione che deve continuare ad essere cura dei fratelli.
+ Erio Castellucci