In modo quasi martellante abbiamo sentito ripetere per nove volte nella prima lettura l’idea della consolazione. Il verbo consolare e il sostantivo consolazione fanno da filo conduttore nell’esortazione di Paolo nei primi versetti della Seconda Lettera ai Corinti. Ma cosa vuol dire consolare? La parola italiana, derivante direttamente dal latino, contiene due concetti che combattono tra di loro: con, che indica relazione e solo, che indica isolamento, solitudine. Nella etimologia latina significa che la solitudine viene vinta dalla relazione; consolare vuol dire prendere con sé la solitudine dell’altro e quindi farla svanire, farla scomparire. Consolare non è semplicemente piangere-con, soffrire-con, ma è attivamente distruggere la solitudine, creare una relazione. Quando c’è una vera relazione tra due o più persone, la solitudine svanisce.
Nel Vangelo di oggi mi colpisce un particolare; nella storia così vivace della guarigione del paralitico, per cui si scoperchia il tetto e l’uomo viene calato davanti a Gesù, attivando una discussione tra scribi e farisei, potrebbe sfuggire il fatto che, se questo paralitico non avesse trovato alcuni uomini che lo portavano davanti a Gesù, sarebbe rimasto bloccato nella sua paralisi. Questo paralitico è stato con-solato, qualcuno si è preso cura della sua solitudine ed è riuscito, superando diversi ostacoli – la folla, il tetto, le critiche dei capi del popolo – ad avvicinare Gesù. Se c’è qualche cosa che può vincere la paralisi interiore, è proprio la consolazione: qualcuno che si prenda cura della solitudine. L’uomo paralitico è l’emblema della solitudine assoluta, perché non è capace nemmeno di muoversi, non può fare nulla di proprio, è bloccato; se non c’è qualcuno che si prende cura di lui, muore: muore di fame, muore di sete, e dunque è proprio l’immagine più forte di come la con-solazione, qualcun altro che porti sulle spalle la tua solitudine, ti aiuta a superare la tua paralisi.
I motivi di solitudine nella nostra vita sono tanti e sono legati sempre a situazioni di sofferenza: può essere una sofferenza che viene dalla malattia: e qui siamo proprio in uno dei luoghi nei quali la relazione di cura parte da questo tipo di solitudine, perché quando il corpo si appesantisce, quando la forza viene meno, quando si avverte il morso del dolore, veramente si viene avvolti da un isolamento, e se non c’è qualcuno che tende la mano si rischia di ripiegarsi su se stessi. Ma può essere anche una solitudine dovuta a qualche sofferenza morale o psicologica, per la situazione di persone care: a volte le solitudini più pesanti vengono dal lutto, perché quando una persona che abbiamo amato scompare è come se qualche corda del nostro essere si staccasse, se ne andasse con lei nella tomba e ci troviamo più soli. Può essere una sofferenza spirituale, un dubbio di fede, una aridità interiore. Può essere una solitudine affettiva: un tradimento, una forte delusione, la rottura di qualche relazione importante nella vita. L’isolamento è come rimanere avvolti da uno strato spesso di povertà interiore e a volte anche esteriore; e allora è necessario che – come dice il Vangelo – alcuni uomini ti prendano sopra un letto e ti portino davanti a Gesù. E’ necessario che si riattivino delle relazioni. Certo, chi le ha coltivate nella sua vita, è più facile che nei momenti di solitudine le ritrovi; però è necessario che qualcuno si faccia prossimo, si faccia vicino, vinca la solitudine di coloro che tante volte restano ai margini. Se non c’è qualcuno che si china su di te e ti solleva, rimani lì.
Il Signore ci sta dicendo: fatevi prossimi, chinatevi, non abbiate paura, nei momenti di solitudine, di tendere la mano di chiedere aiuto, come avrà fatto questo paralitico con la sua voce; e non abbiate paura, nei momenti in cui incontrate qualche solitudine, di prenderla su di voi, di con-solare, di vincerla con l’offerta di relazione. Apparentemente c’è da rimetterci, ma in realtà ci si guadagna molto, perché consolando ci scopriamo più ricchi di quello che pensavamo.
Chiediamo allora al Signore, lui che è il grande consolatore e che ha mandato lo Spirito consolatore, di aiutarci a riallacciare le corde delle nostre relazioni; ci conceda l’umiltà di chiedere una mano quando siamo paralitici e il coraggio di dare una mano quando ne abbiamo la forza.