Messaggio pasquale 2025
“Stabat Mater”: il dolore e la speranza delle madri
+ Erio Castellucci
“Stabat Mater dolorosa”… la famosa sequenza, attribuita a Jacopone da Todi (XIII sec.), messa in musica tra gli altri da Pierluigi da Palestrina (XVI sec.), riecheggia la scena del Vangelo di Giovanni che inizia proprio così: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Giovanni 19,25). Non erano fuggite, come quasi tutti i discepoli, ma stavano lì, nel momento del dolore supremo; e non si erano accasciate, ma rimanevano in piedi: l’evangelista usa un verbo che indica proprio questa dignitosa posizione.
La sofferenza delle madri, nei millenni, è smisurata. Un simbolo eloquente è la Plaza de Mayo, a Buenos Aires in Argentina, che tra il 1976 e il 1983 ha visto centinaia di madri dei desaparecidos sfidare coraggiosamente la dittatura militare, per chiedere la liberazione dei loro figli arrestati e torturati. Ma quanti milioni di madri, nell’arco della storia umana, restano in piedi sotto la croce dei loro figli! Le madri dei bimbi morti per fame, sete o malattia; le madri degli adolescenti e dei giovani che si tolgono la vita o sono vittime di incidenti; le madri dei soldati di tutte le guerre, che li vedono partire senza poterli riabbracciare. E le madri che salutano i figli affidandoli al mare, senza sapere se saranno vittime di naufragio o giungeranno al sicuro. Una lista davvero dolorosa e drammatica, che non finirebbe più. Ciascuna di loro è racchiusa in Maria, la “mater dolorosa”.
La Pasqua non è però solo il buio del venerdì santo; è anche e soprattutto l’alba della domenica. Per preparare discepoli alla sua morte e risurrezione, Gesù ha offerto proprio un’immagine materna: “la donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Giovanni 16,21). L’esperienza del parto è passione e gioia assieme, sofferenza e speranza nello stesso evento. Solo le madri lo sanno: per questo la morte del figlio è per loro quanto di più innaturale si possa vivere, quasi un parto alla rovescia. Ma le madri sanno inserire dei punti di luce nel dolore. Poco dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, il web diffuse un breve video che scosse milioni di persone: un giovane soldato russo in lacrime, fatto prigioniero ed evidentemente traumatizzato, è attorniato da ucraini che gli porgono un the caldo; alla sua destra una donna tiene un cellulare davanti alla bocca del giovane, che così può rassicurare sua madre facendole sapere che è vivo. La donna ucraina ha lo sguardo della madre, che vede in quel soldato non un nemico, ma un figlio.
“Donna, ecco tuo figlio”: Gesù consegna a sua madre un altro figlio, il discepolo amato, che la prende nella sua casa: “ecco la tua madre” (cf. Giovanni 19,26-27). Solo il Signore può trasformare una croce in una culla, un sepolcro in una casa, un luogo di morte in un luogo di vita nuova. Dalla distruzione di una famiglia, nasce nella Pasqua una nuova famiglia. È l’indomabile speranza cristiana, che non annulla il dolore, non cerca (inutilmente) di aggirarlo, ma lo abita mantenendo accesa una luce: la certezza che l’amore, alla fine, vince. Sotto la croce di Gesù, Maria è come se vivesse una seconda volta le doglie del parto, in attesa della risurrezione, vita che vince. E sarà, oltre che la madre di Gesù, anche la madre del discepolo amato, cioè di chiunque di noi la prende nella sua casa.
La speranza delle madri è più forte di ogni violenza e si annida dentro ad ogni croce. La sequenza di Jacopone, iniziata con il dolore della madre, si conclude con l’espressione “paradisi gloria”. È la prospettiva della gloria, il lato domenicale della Pasqua, che sostiene la nostra speranza il venerdì e il sabato, mentre camminiamo nella storia. E ci sostiene con la testimonianza e la forza delle madri.