Omelia nella celebrazione eucaristica interdiocesana a conclusione del progetto “Nomadelfia, profezia di giustizia e fraternità”
Abbazia di Nonantola (Mo) – Sabato 15 ottobre 2022
(XXIX domenica del TO, anno C – Es 17,8-13; 2 Tm 3,14 – 4,2; Lc 18,1-8 )
Siamo talmente abituati ad ascoltare la parola di Dio e a rispondere “rendiamo grazie a Dio”, quando il lettore termina e dice “Parola di Dio”, che forse non abbiamo pensato che questa sera abbiamo detto “rendiamo grazie a Dio” dopo una frase molto strana: “Giosuè sconfisse Amalèk e il suo popolo passandoli poi a fil di spada”. “Parola di Dio”… e noi: “rendiamo grazie a Dio”. “Rendiamo grazie a Dio” di una carneficina?
Ma sappiamo che dobbiamo leggere le Scritture dell’Antico Testamento alla luce di quanto Gesù ci ha detto; è lui il compimento. Le Scritture di Israele sono un graduale rendersi conto, per ispirazione di Dio, della sua stessa identità divina, dell’identità di noi esseri umani e del significato della vita; e quindi, come dice il Concilio Vaticano II, contengono anche “cose imperfette e passeggere”, mentre Gesù porta a perfezione la Rivelazione. Per questo dobbiamo leggerle alla luce di Gesù. Il quale ci ha detto di passare a fil di spada non “qualcuno”, ma i nostri egoismi, i nostri peccati, il male che a volte si annida dentro di noi. San Paolo gli farà eco: la nostra battaglia non è contro creature di carne e di sangue, ma contro le forze del male, fuori e soprattutto dentro di noi. Gesù stesso ha detto di essere venuto non a portare la pace ma la spada: la spada non contro nemici visibili, ma contro il male che si annida dentro. Ascoltando le letture per preparare questo breve momento di riflessione, e avendo davanti agli occhi don Zeno, ho pensato a quanto gli si addicano certe espressioni. Lui ha passato la vita con la spada ma non era la spada contro qualcuno, anche se alle volte si arrabbiava un po’ ed era molto forte con le parole; era la spada contro l’ingiustizia, la spada contro il male, era intransigente nei confronti delle ingiustizie, ha vissuto per portare un lampo della giustizia del Signore in mezzo a situazioni spesso devastate e segnate da violenze fisiche e morali. Dunque è stato come Mosè un uomo di preghiera, ha spesso alzato le mani verso il cielo per ottenere la grazia e la provvidenza di Dio.; ed è stato come Giosuè uomo di azione e di lotta contro ogni forma di male.
Anche la seconda lettura mi ha fatto venire in mente qualche tratto della personalità e soprattutto dell’opera di don Zeno, che voi qui rappresentate. San Paolo dice a Timoteo: “insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità”. “Al momento opportuno e non opportuno”: si chiede Sant’Agostino commentando questo versetto, quand’è il momento è opportuno? Quando l’ascoltatore è disposto a ricevere; e quand’è il momento non opportuno? quando l’ascoltatore è un muro, una porta chiusa. Don Zeno predicava e agiva al momento opportuno e non opportuno. Qualsiasi situazione trovasse, comunque la pensasse l’interlocutore, andava dritto: non adattava il messaggio alla possibile accettazione di chi aveva davanti, era diretto, era veramente forte, chiunque avesse di fronte. Era uno che insisteva “al momento opportuno e non opportuno”: e se ha potuto dare inizio ad una grande opera, che continua e si sviluppa ancora oggi, è proprio per questa sua fede nell’azione della Parola di Dio.
Nel Vangelo di oggi, la vedova che Gesù propone come modello per i discepoli, quindi per noi, mi ha fatto venire in mente di nuovo la tenacia di don Zeno. Gesù racconta questa strana parabola della vedova che va dal giudice malvagio che non temeva Dio, per inculcarci la necessità di pregare sempre senza stancarci mai. Questo verbo, ‘stancarsi’, potrebbe anche essere tradotto ‘senza cadere nella sfiducia, senza abbattersi’: non si tratta tanto di una stanchezza fisica o psicologica, ma spirituale; è la stanchezza di chi dice: “ho chiesto, ho chiesto ma non è arrivato nulla, allora basta”. Invece Gesù dice ‘insisti, insisti’ perché se perfino un giudice disonesto presta ascolto alla vedova che lo supplica, se non altro per non essere più importunato, figuriamoci se Dio, che non è certo un giudice disonesto, ma è un Padre amorevole, non lascerà entrare la preghiera nel cuore. A volte non la esaudisce come vorremmo noi, nei tempi e nei modi che noi gli chiediamo. Diventerebbe un automatismo, un rapporto clientelare, lui il venditore e noi clienti che mettono il prezzo sul banco e ottengono ciò che chiedono. Invece ciò che vuole il Signore è che noi rimaniamo figli e lui Padre, che ci sia una libertà reciproca, e dentro questa libertà ci assicura che la preghiera fatta con costanza entra nel cuore. Ho pensato quante volte don Zeno si sarà trovato, come questa vedova, davanti al giudice disonesto, davanti cioè a persone che avevano autorità, potevano esercitarla a favore dei poveri e non lo ascoltavano; quante volte avrà insistito… e poi ha trovato nel Signore, sempre, un Padre amorevole che lo ha ascoltato. Diversamente non si saprebbe come spiegare il miracolo che è nato da questa esperienza, che siete voi, un miracolo vivente, che andrà avanti ancora tanto tempo. Non può essere nato semplicemente dalla caparbietà di un uomo o dal suo senso umano di giustizia, pure coltivato negli studi universitari di giurisprudenza; non può essere nato nemmeno dalla sua familiarità con il Vangelo; deve essere nato alzando le braccia verso l’alto come abbiamo ripetuto nel salmo: “Il mio aiuto viene dal Signore”. Dell’aiuto del Signore don Zeno era graniticamente sicuro, oggi diremmo perfino troppo: “facciamo, facciamo perché poi la Provvidenza ci aiuterà, ci penserà”. Però ha avuto ragione, nonostante tutti gli ostacoli e le sofferenze profonde, le fatiche, nonostante abbia dovuto bussare più volte alla porta di chi doveva agire e non lo faceva e la porta tante volte è rimasta chiusa. Nonostante questo, è nata Nomadelfia, un’esperienza così grande: davvero la preghiera e la tenacia unite assieme compiono miracoli. Oggi ringraziamo il Signore in modo particolare per Nomadelfia, per la figura e l’opera di don Zeno. Permettete anche per Zaira, qui presente, che rappresenta i primi passi: ogni volta che la vedo mi infonde molta forza interiore. Dobbiamo ringraziare il Signore perché ci dà forza, alzando le braccia, con costanza, pregandolo, lui incute forza, lui fa cose grandi anche là dove noi abbiamo orizzonti bassi. Grazie a don Zeno, grazie a tutti voi per questo miracolo vivente.