Lettorato di Gianluca Gianni e Pietro Garuti e accolitato di Sebastian Monteleone
Chiesa di San Francesco di Modena – 26.11.2025
XXXIV Settimana del Tempo Ordinario – Ap 10,8-Sal 118; Mc 6,34-44 –
“Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Così, esattamente due secoli fa, scriveva un anonimo francese in un testo intitolato Meditazioni di gastronomia trascendentale. Qualche decennio dopo, nel 1862, il filosofo ateo L. Feuerbach prese ispirazione da questa idea e scrisse. “Se volete far migliorare il popolo, invece di declamazioni contro il peccato, dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia”. I due autori non immaginavano certo che stavano riecheggiando il messaggio biblico. L’abbiamo sentito nelle letture scelte dai nostri candidati ai ministeri: Sebastian, Gianluca e Pietro. Si sono sentiti interpellati da quella stessa voce che disse all’Apostolo Giovanni, mentre l’angelo gli porgeva un piccolo libro: “prendilo e divoralo”. Questo strano pasto risponde proprio al principio: “l’uomo è ciò che mangia”. Se mangi la parola di Dio, sei un profeta. Non è una parola come quelle umane, qualche volta dolci fino all’inganno o amare fino all’insulto. La parola di Dio è dolce e amara insieme: dolce al palato e amara nelle viscere, perché ha i gusti dell’amore di Dio, che usa sia i toni della tenerezza sia quelli del rimprovero; chi ama davvero evita le sdolcinature e, all’inverso, le ingiurie. Chi ama dell’amore di Dio parla come lui, dosando tutti i linguaggi: affetto e consolazione, ammonimento e correzione. Il comando di Dio a Giovanni non si ferma però al pasto, ma spinge all’annuncio: “devi profetizzare”. Chi ha gustato la parola di Dio, non può tenerla per sé. Lo stesso Giovanni, insieme a Pietro, davanti ai capi giudei di Gerusalemme che volevano zittirli, rispose: “noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato!” (At 4,20). Chi è conquistato dalla parola di Dio, non riesce a soffocare la gioia di comunicarla: non perché diventi un fanatico, ma perché diventa un profeta. Il fanatico è mosso dal rancore, il profeta dall’amore.
Il Vangelo ribadisce il gesto di mangiare – la folla che ascolta Gesù è affamata – e i discepoli lo segnalano al Maestro. Non solo: gli suggeriscono anche una soluzione: “congedali, in modo che andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare”. Una via d’uscita semplice per loro, ma proibitiva per la folla: di sera non era facile rintracciare negozi aperti. E poi, chi tra loro era piccolo o povero, dove trovava le forze e il denaro per girare e acquistare cibo? Ma Gesù prende in contropiede i discepoli: “Voi stessi date loro da mangiare”. La situazione è capovolta e diventa ora dura per i discepoli. Sono loro, infatti, a dover conteggiare i pani e i pesci che la gente aveva portato nella bisaccia: e chissà quanti rifiutavano di aprirla per paura che quel cibo non tornasse indietro. La raccolta poi fu così magra da scoraggiare chiunque: tutta questa fatica per cinque pani e due pesci, una quantità ridicola per migliaia di persone. Ma per i poveri discepoli non è finita: Gesù ordina loro di sistemare la folla a gruppi di cento e di cinquanta. E chiunque abbia fatto servizio d’ordine in qualsiasi raduno – non penso ai Rave party ma semmai alle Gmg – sa come sia faticoso mettere in ordine la gente. Due fatiche inattese per i discepoli, esposti al rischio di un buco nell’acqua. Solo l’intervento di Gesù salva la situazione, con un miracolo chiamato moltiplicazione ma che ha il suo cuore nella condivisione: “spezzò i pani”, anticipando l’eucaristia. Quei pochi pani e pesci che alcuni avevano avuto il coraggio di estrarre dalla bisaccia, offerti a Gesù, diventano dono abbondante. E per la terza volta i discepoli sono invitati a collaborare, distribuendo il cibo alla folla: questa volta – immaginiamo – senza imbarazzi e discussioni, ma con gioia.
Questo è il vostro ministero di lettori e accoliti, cari Sebastian, Gianluca e Pietro. Di fronte alle persone affamate di senso e di affetto e affaticate dalla vita, il Maestro vi chiede di evitare la soluzione facile – che ciascuno si arrangi da solo – e di collaborare con lui: passando in mezzo alla gente con fiducia nel comando di Gesù, elemosinando il bene che portano nella bisaccia del cuore, presentandolo a Gesù nell’eucaristia, distribuendo l’abbondanza della sua parola di vita. Non fatevi condizionare dall’esiguità del raccolto: la gioia di un ministro non sta nel successo immediato dell’impresa, ma nella partecipazione al miracolo della condivisione. Questo vi auguro: che siate sempre grati, perché il ministero che nasce dalla gratitudine non cerca soddisfazione nei risultati ma trova letizia nella condivisione dei doni ricevuti.





