Sof 3,14-17 – Is 12,2-6 – Fil 4,4-7 – Lc 3,10-18
“Rallegratevi! Siate sempre lieti!”, gli inviti che ci vengono dalle letture di oggi potrebbero sembrare campati per aria: che motivi abbiamo di rallegrarci e di essere sempre lieti? In realtà sono, come al solito, piantati nella storia, nella nostra storia personale, nella storia universale, perché la fede rappresenta sempre un cono di luce nell’ombra dei problemi, delle sofferenze, delle vicende spesso avverse che incontriamo nella vita.
Che consiglio ci dà il Vangelo per essere sempre lieti e rallegrarci? Apparentemente un consiglio terra-terra che sembra quasi preso in prestito da un pensatore greco più che elaborato da un uomo come Giovanni Battista, che era un profeta biblico. La gente va da lui e gli chiede: “Che cosa dobbiamo fare?”… sottinteso: per prepararci, per convertirci, per essere pronti all’arrivo del Messia di cui ci hai parlato? “Cosa dobbiamo fare?” deve essere la nostra domanda per l’Avvento, “cosa dobbiamo fare” per prepararci a vivere intensamente il Natale?
Il primo consiglio è quasi ovvio: chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha. Chi ha da mangiare faccia altrettanto. E’ un consiglio molto umano: siate giusti, condividete, partecipate anche agli altri i vostri beni. Se trovate un dislivello così grande che qualcuno ha due tuniche e qualcuno nessuna, qualcuno che scoppia per il cibo e qualcun altro che muore di fame, pareggiate i conti. Non c’è bisogno della fede per questo. Poi vengono dei pubblicani e anche loro chiedono: che cosa dobbiamo fare? Anche a loro Giovanni dà una risposta che non richiede necessariamente la fede nel Messia: non esigete niente di più di quanto vi è stato fissato. É un’idea di equità molto umana, quasi una onestà basilare. E finalmente arrivano i soldati e anche loro chiedono: e noi che cosa dobbiamo fare? E anche per loro la risposta si colloca sul piano del buon senso: non maltrattate, non estorcete, abbiate rispetto.
Dunque, Giovanni dice: cercate di prepararvi curando la vostra “umanità”, coltivando le virtù umane: la giustizia, l’equità, l’onestà… apparentemente è molto semplice. Se però guardiamo più a fondo non è poi così semplice. La condivisione, rinunciare alla tunica per chi non ce l’ha, rinunciare a qualche bene per chi ne è privo, richiede comunque uno sforzo. Ci rendiamo ben conto – nel nostro piccolo ma anche pensando ai problemi del pianeta – di quanto sia difficile in realtà la condivisione. Così come l’equità. I pubblicani, che fanno la seconda domanda, sono una categoria molto particolare e molto disprezzata dagli altri ebrei, perché lavorano per i romani (e già per questo sono disprezzati), ma soprattutto collaborano nel raccogliere le tasse e versarle all’imperatore. Inoltre si ritagliano una tangente, un sovrappiù, per questo Giovanni dice: “Non esigete nulla di più”. E, dunque, anche questo non è tanto facile. Infine i soldati, che non sono tentati come i pubblicani dalla brama dell’avere ma piuttosto dalla brama del potere: sono armati e quindi possono imporre ad altri la loro volontà; a loro dice semplicemente: non maltrattate, non estorcete. E anche per loro non doveva essere così facile rispettare gli altri.
Quelle che dunque possono sembrare tre ovvietà, sono in realtà tre atteggiamenti molto difficili da assumere, perché tutti siamo tentati dal possesso, dall’accumulo, dal potere. In fondo Giovanni Battista raccoglie effettivamente la sapienza antica, sia quella greca che quella ebraica, proponendo quelle che noi chiamiamo le virtù cardinali, quelle umane fondamentali: giustizia, fortezza, prudenza, temperanza; le quattro virtù cardinali sono proprie di ogni essere umano. Le tre virtù teologali, la fede, la speranza e la carità – sembra dirci Giovanni – sono inutili, o meglio, si calano su un terreno scivoloso se non si basano sulle virtù umane, su una umanità piena. Detto in altri termini: la nostra vita e la nostra testimonianza come cristiani deve potersi innestare su un atteggiamento umano maturo. Non basta pregare se non sappiamo mantenere la parola data, non basta andare a Messa se non siamo capaci di essere onesti, giusti, attenti alle necessità degli altri, non basta professare la fede se non pratichiamo la temperanza.
A volte si ha l’impressione che alcune persone abbandonino la fede perché non vedono in noi cristiani un innesto delle virtù teologali nelle virtù cardinali, cioè una vita di fede che si innesti e favorisca una vita umana piena. Un’umanità matura: è questo che attira. Giovanni ci ci dice che per prepararci alla grazia occorre coltivare la natura, occorre che la grazia si innesti sulla natura, che la grazia aiuti la natura a crescere, perché la fede, la speranza e la carità – se vissute bene – ci fanno diventare più uomini e donne, non tolgono nulla alla nostra umanità. Il Signore ci aiuti, per intercessione di Giovanni Battista – che lo ha chiesto alle persone del suo tempo, ma lo chiede anche a noi – ad essere gioiosi, lieti, perché pienamente uomini e pienamente donne, modellati su quell’umanità matura che è l’umanità di Gesù.