– Is 52,13-53,12; Sal 30/31; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1-19,42 –
Molti storici sono concordi, da qualche decennio, nell’individuare la data della morte di Gesù nel 7 aprile dell’anno 30; e non sempre capita che il venerdì santo sia il 7 aprile, come oggi. è una coincidenza che rende ancora più intima questa celebrazione: giorno di offerta, giorno di vendetta, giorno in cui culmina l’amore: il 7 aprile dell’anno 30. Noi abbiamo anche la fortuna di avere qui nella nostra Cattedrale, di fronte a noi, scolpite da molti secoli, le scene fondamentali di questo evento: a cominciare da Gesù che lava i piedi ai discepoli, che celebra l’ultima cena (il giovedì) e poi gli eventi successivi: la notte tra il giovedì e il venerdì l’arresto e il giudizio da parte del Sinedrio e di Pilato, e poi il venerdì Gesù che si incammina verso la croce. E ancora, sotto l’arco centrale che porta nella cripta, i due bassorilievi: quello di sinistra che rappresenta il tradimento di Giuda mentre vende Gesù per trenta denari, e quello di destra che rappresenta il rinnegamento di Pietro mentre discute con la serva e il gallo canta.
Ma vorrei che prestassimo l’attenzione al crocifisso che sovrasta queste scene. Questo stupendo crocifisso di legno riassume proprio il vangelo di Giovanni appena ascoltato. Nel momento culminante, Gesù si offre completamente al Padre, rappresentato sopra di lui, al culmine dell’asta verticale della croce; e Gesù che crea una nuova famiglia con Maria alla sua destra e Giovanni alla sua sinistra, raffigurati nell’asta orizzontale della croce, il patibolo. è una sintesi meravigliosa della teologia, perché la croce è veramente il momento culminante dell’obbedienza di Gesù al Padre; Gesù per tutta la sua vita pubblica ha dovuto scegliere e riscegliere continuamente il Padre rispetto alla fama, rispetto persino alla amicizia dei discepoli, e nel momento della croce gli si affida completamente – abbiamo sentito la frase “É compiuto” (cioè: “Ho fatto tutto”).
Ma la croce è anche l’atto culminante della solidarietà di Gesù con noi: da quel momento nessuno può dire che il Signore ignora cosa significa la vita terrena, che non sa cosa significa soffrire, morire; la croce è l’accumulo di tanti significati della morte: una morte violenta, una morte prematura, una morte ingiusta, una morte dolorosa, una morte vergognosa. Ci sono davvero, lì, tutte le dimensioni umane della morte. Ma c’è anche la vita: Maria e Giovanni. A loro Gesù affida reciprocamente l’esistenza della Chiesa: “Donna ecco tuo figlio… ecco la tua madre”; ed è l’unico che può far scaturire da uno strumento così terribile di morte (la croce), la culla di una vita nuova, di una nuova famiglia: la Chiesa. Sopra la sua testa c’è la scritta, l’abbiamo sentito da Giovanni: Gesù Nazareno il Re dei Giudei, una scritta in tre lingue, ebraico, greco e latino. Sono le tre principali lingue dell’epoca, sono i tre mondi, è l’intero universo che si dà appuntamento sulla croce di Gesù, perché il dolore accomuna tutti gli esseri umani di qualsiasi lingua, popolo, di qualsiasi condizione sociale. Nella croce trovano rifugio davvero tutti gli uomini, e in questa croce tutti trovano speranza. Se noi siamo qui dopo duemila anni, il 7 aprile del 2023, a celebrare la croce, è proprio perché pensiamo che la croce sia stata non la mèta ma una tappa della vita di Gesù verso la resurrezione.
Ci diamo appuntamento, dunque, insieme a Maria, a Giovanni, agli ebrei, ai greci, ai latini, a tutti i popoli, sulla croce di Gesù, perché ci renda partecipi della sua resurrezione, perché trasformi anche le nostre croci quotidiane in ponti di passaggio, in strumenti di crescita dell’amore, nell’alba di una nuova vita.