Per il terzo anno consecutivo l’inizio della quaresima, il mercoledì delle ceneri, assume un tono universalmente penitenziale, perché il clima del mondo intero è penitenziale. Due anni fa non abbiamo potuto vivere insieme questa celebrazione perché era già scattato il lock-down, dovuto all’inizio della pandemia; lo scorso anno l’abbiamo vissuta ancora nel mezzo della pandemia, con tutte le misure che attualmente portiamo avanti, ma con una speranza di uscirne ancora piuttosto remota; quest’anno addirittura viviamo tra i bagliori della guerra. In questa tragedia che si è riaccesa e di cui non sappiamo ancora gli esiti, ma di cui vediamo già le rovine, i disastri, la distruzione che porta con sé.
Che cosa ci chiede il Signore in mezzo a queste crisi: crisi sanitarie, crisi sociali, economiche, ambientali… che cosa ci chiede? Apparentemente ci chiede poco; sembra addirittura che ci chieda di ritirarci nella cripta, nel segreto: per sei volte abbiamo sentito nel Vangelo ripetere questa espressione: nel segreto. Nella lingua greca del vangelo di Matteo l’espressione suona in modo suggestivo: en kriptò – letteralmente “nella cripta” – e la contrappone alla logica del teatro: quando fai l’elemosina, quando preghi, quando digiuni, non fare rumore, non farti pubblicità, non farti vedere nelle strade, dalla gente, perché ti possano acclamare… non assumere – insomma – il ruolo dell’attore, non fare teatro, stai nella cripta. Cioè: vivilo in profondità, vivi nel cuore quello che fai, perché mentre gli esseri umani vedono il teatro, e applaudono o fischiano a seconda se approvano o disapprovano, il Padre tuo vede nel segreto, solo lui supera la soglia del cuore. Gesù come sempre, dunque, ci riporta alla radice, all’origine del bene e del male, che è la cripta, la parte più intima dell’essere umano, il suo cuore. É lì che prende forma la risposta ad ogni crisi, alla violenza e alla guerra, alla malattia e alla distruzione, al lutto e alla povertà.
O noi riportiamo all’origine il problema, oppure continueremo semplicemente ad inseguirne le conseguenze. E l’origine del problema è sempre il cuore umano: è visitato o no da Dio? É un cuore risanato – pur nelle sue ferite – o è un cuore conquistato tutto dall’ansia di farsi vedere, di imporsi, di sopraffare l’altro? É un cuore consapevole che tutto è dono o è un cuore convinto che tutto è rapina? É un cuore grato perché ha ricevuto dei regali dal Signore e sa che li deve restituire o è un cuore arrabbiato, avido di prendere ciò che gli altri gli possono dare? Questa è l’alternativa: la donazione o la predazione.
Il Signore indica la strada per sanare il cuore attraverso tre consigli che ci possono sembrarci proprio banali: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Ma sono questi la terapia per il risanamento del cuore. L’elemosina, per dirla con termini più attuali, è la condivisione dei beni: un rapporto con i beni che non sia un rapporto di predazione ma un rapporto di donazione. Che sia gratitudine per i beni ricevuti – non solo per il cibo ma per tutte le risorse materiali di cui siamo dotati – e che sia gratitudine talmente alta da non poter rimanere in se stessa, da dover partecipare ciò che ha ricevuto. In queste settimane saremo certamente chiamati a tradurre l’elemosina in termini di accoglienza dei profughi ucraini. La crisi attuale ci chiede anche questo: l’elemosina non come compassionevole attenzione all’altro, ma come solidarietà concreta.
La preghiera riguarda il rapporto con Dio stesso. E il Signore ci chiede nel vangelo di viverla – anche questa – con gratitudine. Perché pregare? Perché il Papa ci ha chiesto oggi una giornata di digiuno e di preghiera? Perché la preghiera crea, prima di tutto dentro di noi, uno spazio di grazia; ci fa capire che nella fabbrica del nostro cuore non siamo in grado di costruire la pace; noi siamo sempre in guerra, lottiamo sempre contro qualcuno nel nostro cuore. La preghiera ci apre uno spazio intimo di libertà, che ci mette nella condizione di implorare la pace come dono dall’alto.
E infine il digiuno. Gesù dà un consiglio piuttosto difficile da mettere in pratica: quando digiunate non diventare malinconici, come ipocriti, che assumono un’aria disfatta. Quando cioè vi private di qualcosa, per poterla condividere, non siate tristi. La vita è troppo breve per essere tristi. Gesù addirittura dice: profumatevi il capo, perché la gente non veda che state facendo un sacrificio. La rinuncia, per noi cristiani, non è motivata semplicemente dal fatto di fortificare la volontà, ma è motivata soprattutto dal fatto di esaltare la libertà. Noi cerchiamo di non renderci dipendenti dalle cose, né dagli onori, né dai titoli, né dalla stima della gente. Il digiuno più difficile forse è proprio questo: poter fare a meno di ciò che gli altri pensano di noi. Poter rinunciare alla logica del teatro per entrare nella logica della cripta; e il Padre tuo che vede nel segreto, e vede nella cripta e vi compenserà.
Il Signore ci aiuti a essere grati, riconoscenti per i suoi doni, senza che questi diventino un trampolino per ricercare altro o per sfruttare il prossimo. Ci aiuti a vivere l’elemosina, la preghiera e il digiuno come segni di riconoscenza verso di lui e verso i fratelli: è questa la radice della pace. Come scrisse San Giovanni Paolo II: il cuore della pace è la pace del cuore. Da qui dobbiamo ricominciare.
+ Erio Castellucci