47ª Giornata nazionale della vita – Giornata della vita consacrata
(Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40)
Portarono il bambino, prese il bambino tra le braccia, questo bambino che ancora non parla, è decisamente il centro della scena, è lui il protagonista della presentazione, sembra quasi il destinatario perché lo portano, lo portano tra le braccia, ma è lui il protagonista. Quando nasce un bambino è il protagonista, non lo sa, ma è al centro dell’attenzione, di tante attese, tante speranze, tanti affetti. Un bimbo che nasce è sempre un raggio di luce in questa realtà spesso ombrosa che è la vita. Oggi celebriamo la giornata della vita, celebriamo il bimbo che nasce e ricordiamo anche i tanti bimbi che non vengono accolti, che spuntano alla vita nel grembo della madre, ma non vedono la luce e che sono accolti nel grembo di Dio. Un bimbo che nasce è sempre una festa, un bimbo che nasce stringe le relazioni tra tutti coloro che lo attendevano, tra i parenti, tra gli amici di famiglia, un bimbo che nasce addirittura a volte fa scattare dei gradi di parentela prima inesistenti, fa diventare qualcuno fratello, qualcun altro zio, il marito e la moglie, papà e mamma, fa diventare nonni, altri. Un bimbo che nasce insomma è un dono, è un miracolo e non manca di stupire. La nascita è un grande mistero che per quanto l’essere umano cerchi di imitare, di manipolare, non riesce in realtà a conquistare, non riesce ad entrare dentro al cuore di questo mistero. L’atteggiamento giusto è quello dell’accoglienza, accogliere. Davanti al mistero della vita non si tratta di affrettare né tantomeno di negare, non si tratta di manipolare, si tratta di accogliere, perché un dono semplicemente si accoglie e c’è un senso di grandezza davanti a questi piccoli esseri che nascono, come proprio davanti a Gesù che è riuscito a stupire non solo i Suoi genitori, i pastori, i magi, ma anche gli anziani, Simeone e Anna. La vita che nasce desta meraviglia perché è dono. In mezzo a questa meraviglia, a questo dono, a questa gioia, c’è però un punto critico, una frase faticosa, perché è una frase profetica, quella di Samuele che chiama Gesù segno di contraddizione e dice a sua madre, anche a te una spada trafiggerà l’anima. Dentro a questa gioia dell’accoglienza c’è già la profezia dell’offerta perché, se la vita va accolta e la vocazione dei genitori è la testimonianza della necessità per tutti di accogliere la vita, questa stessa vita va poi offerta. Il senso della vita non è di impadronirsene, come non ci possiamo impadronire dell’origine della vita, non ci possiamo impadronire nemmeno del senso della nostra vita. La vita va accolta e custodita per essere restituita. Noi non siamo i proprietari della nostra esistenza, siamo semplicemente i custodi e un giorno la dovremo restituire a colui che ce l’ha donata.
La presentazione di un bimbo al tempio era nello stesso tempo la celebrazione della nascita e l’anticipo dell’offerta finale della propria vita, quella che Simeone profetizza per Gesù e per sua madre. C’è dunque un velo di tristezza in questa gioia dell’accoglienza, ma è una tristezza apparente perché ha già dietro la luce della risurrezione. La vita va offerta proprio perché l’incontro con il Signore, l’incontro finale con Lui sarà un passaggio verso la vita piena, sarà un nuovo grembo dopo il quale il Signore ci accoglierà in una nuova nascita. Ma questa nuova nascita avrà la qualità dell’amore che avremmo espresso in questa esistenza, di quanto saremmo stati capaci di rispondere ai Suoi doni e donarci a nostra volta.
E la vocazione alla vita consacrata è la testimonianza a tutti della necessità di offrire la propria vita. Accogliere e offrire è sempre un fatto d’amore, è sempre una grandezza di dono.
La nostra vita ci è donata e va ridonata e solamente quando la viviamo come dono, accolto e restituito ha senso, altrimenti se volessimo trattarla come un possesso o come purtroppo a volte per qualcuno accade come una maledizione, non ne troveremmo il senso, cadremo nell’assurdo.
La nostra vita è dono che va restituito, può durare più o meno a lungo, ma ciò che più conta è l’intensità del dono, è questo che dà peso alla vita, non è tanto la lunghezza dei giorni, quanto l’amore che in questi giorni, siano pochi o molti, noi riusciamo ad inserire.
Chiediamo al Signore che ci aiuti ad accogliere e ad offrire la vita e ringraziamo per il dono di queste due grandi vocazioni nella Chiesa, quella degli sposi e dei genitori che ci ricordano la necessità di accogliere, quella dei consacrati e delle consacrate che ci ricordano la necessità di offrire. Tutti siamo chiamati ad accogliere e ad offrire e queste due grandi vocazioni sono un aiuto per vivere la nostra vita come dono.
Erio Castellucci, arcivescovo