«Libro della genesi di Gesù Cristo»: così, letteralmente, si apre il Vangelo di Matteo, il primo libro del Nuovo Testamento. In perfetto parallelismo con il primo libro dell’Antico, la Genesi appunto. I due Testamenti cominciano, rispettivamente, con l’origine del cosmo creato e con l’origine della storia redenta. Il brano evangelico proclamato è solenne e pieno di energia: in soli 17 versetti non meno di 44 richiami alla generazione, 40 come verbo (“generare”) e il resto come sostantivo (“generazione”). Questa è una celebrazione della vita, che non si arrende di fronte alla morte dei singoli, ma si trasmette attraverso la storia e guarda verso il futuro. I primi libri dei rispettivi Testamenti iniziano festeggiando il miracolo della vita.
Quale vita però? Se entriamo nel dettaglio, dobbiamo abbandonare i toni celebrativi e solenni e declinare il cosmo e la storia su volti concreti, su vicende talvolta imbarazzanti, su esseri umani ambigui e fragili.
Nel Dna di Gesù compaiono, certo personaggi di tutto rispetto, come i patriarchi Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuda, e poi Sovrani come Davide e Salomone, i quali, pur con tutte le loro contraddizioni, sono i pilastri della religione e della storia ebraica.
Compaiono però anche personaggi ignoti, di cui non si narra nulla o quasi, come Esrom, Abinadàb e Naassòn, Achìm; e purtroppo compaiono personaggi di cui si conoscono le malefatte, come i re Acaz e Manasse, divenuti sinonimo di corruzione. Un album di famiglia a tratti chiaroscuri e spesso imbarazzanti. Non è una genealogia pulita ed esemplare.
Le quattro donne menzionate, poi (la quinta sarà Maria di Nazareth), non sollevano le sorti dei loro colleghi maschi. Tra di esse non c’è nemmeno una matriarca, come potevano essere Sara, Lia, Rachele o Rebecca, ma ci sono solo donne per qualche ragione “irregolari”: Tamar si finge prostituta, per giacere con suo suocero Giuda e dargli una discendenza (cf. Gen 38); Rahab prostituta lo è davvero ed è oltretutto cananea (cf. Gios 2), finendo per sposare Salmon e diventando così antenata di Davide. Rut è invece una donna virtuosa, una figura del tutto positiva, ma ha anch’essa una tara: è una moabita, e come tale non solo non fa parte del popolo eletto, ma appartiene al popolo nemico per antonomasia. E Betsabea fu costretta dal re Davide, preso da passione per lei, a diventare adultera, tradendo il marito impegnato nella guerra.
Matteo non la cita per nome, ma con la locuzione «quella che era stata la moglie di Uria», in modo da evidenziare anche il grave delitto commesso da Davide, ossia l’uccisione del marito di Betsabea, Uria appunto, per coprire la gravidanza della moglie incinta per opera del re (cf. 2 Sam 11). Insomma, anche la menzione donne, nella genealogia di Gesù, richiama avvenimenti densi di inganni, immoralità, impurità, omicidi.
Un bell’album di famiglia, non c’è che dire, un album quantomeno imbarazzante. Prezioso, però, questo imbarazzo: è l’imbarazzo della carne del Signore. Anche se alla fine della genealogia, quando arriva a Giuseppe sposo di Maria, Matteo è costretto a compiere una virata, usando il passivo – «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo» – anticipando così la notizia del concepimento verginale di Gesù, l’intento della genealogia è di mostrare che il Figlio dell’Altissimo entra nel mondo assumendo una storia tal qual è la storia umana, niente di più e niente di meno. Non ha scelto una linea genealogica pura, facendo magari lo slalom tra un antenato e l’altro per evitare i più imbarazzanti. Non si è inserito in una storia immacolata, ma nella nostra storia, per salvarla da dentro. La nostra storia umana è perciò storia salvata. Il Signore la salva in modo pasquale: non, cioè, evitandone le storture e malvagità e percorrendola così su una soprelevata, dall’alto, per gettarvi qualche pillola di saggezza. No, salva la storia immergendosi in essa, portandola tutta con sé nella croce – potente concentrato di intrigo, odio, violenza – facendole assaggiare la pietra del sepolcro, la morte, e generando in essa nuova vita, con la risurrezione.
Così potrebbe proseguire la genealogia di Matteo: Gesù, chiamato Cristo, ucciso ingiustamente sulla croce, generò una vita nuova, per tutti e per sempre. La vita continua, rigogliosamente, a fronteggiare la morte.
Anche in questa nostra storia che non differisce da quella degli antenati di Gesù, anzi sembra intensificare le violenze, gli intrighi, le ingiustizie e le atrocità. Anche in questa nostra storia, il Signore si innesta con la sua carne, in modo pasquale: non la fugge, se ne fa carico, ne attraversa il buio, accende fiamme di luce. Solo che ora, nella sua carne, ci siamo anche noi, Chiesa corpo di Cristo, chiamati – come dice San Paolo – a completare nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo (Col 1,24). Chiamati, cioè, ad assumere la nostra genealogia, la storia che ci è dato di vivere, come parte del corpo del Signore. Il desiderio acuto di pace e di giustizia entra come una spina nella nostra carne e rischia talvolta di farci sentire impotenti. Che strano album di famiglia è la nostra epoca! Dopo tante pagine tragiche, di guerre e sopraffazioni di ogni sorta, di dittature sanguinose e distruzioni di massa, speravamo con il nuovo millennio nella prevalenza di quieti ritratti di famiglia, primi piani sereni, panorami distesi. Invece di nuovo intrighi, iniquità, disprezzo dei poveri e degli ultimi. La genealogia è sempre quella: non è immacolata, deve essere salvata.
Erio Castellucci





