Omelia di mons. Ermenegildo Manicardi
Carissimi studenti, insegnati, operatori nella scuola e cari fedeli della Cattedrale!
Ci riuniamo stasera per invocare la benedizione del Signore sull’anno di studio che sta iniziando. Vogliamo chiedere aiuto di fronte al timore che la pandemia, anche a causa della riapertura delle scuole, abbia a crescere nei suoi effetti nefasti.
Anche in altri anni siamo venuti a chiedere aiuto in cattedrale, ma questa volta c’è qualcosa di più preoccupante del solito. Nell’anno appena iniziato ci sono le speranze di un salto nella crescita culturale, si spalancano nuove occasioni di amicizia e si impostano possibilità di attività. Come sempre abbiamo un po’ di paura di non essere del tutto all’altezza. Oggi le nostre aspettative sono più incerte: eccoci allora, Signore, a riuniti tutti insieme, con fiducia, davanti a te.
La solennità dei santi arcangeli
La nostra Eucaristia di inizio anno è posta nel giorno della solennità dei santi arcangeli. Questo ci ricorda che Dio è capace di aiuti speciali soprattutto quando di questi aiuti c’è bisogno.
Le letture fanno vedere il rapporto tra il Figlio dell’uomo e gli angeli. Gesù, il Figlio dell’uomo, è certamente potente: il profeta Daniele ha descritto come a Lui «furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto». Anche lui ha avuto bisogno di schiere di angeli.
Lo stesso Gesù ha detto a Nicodemo: «vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo». Ciò vuol dire che la vita terrena di Gesù ha avuto sempre un lato invisibile su cui spesso agiva il potere protettivo degli angeli.
Il Vangelo di Matteo narra che, dopo quaranta giorni di tentazione e di digiuno mantenuto anche la notte, Gesù ebbe fame: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4,11). Il rapporto di Gesù con Dio è arricchito da queste figure.
I nomi degli arcangeli
Degli angeli e degli arcangeli, oltre il fatto della loro esistenza, sappiamo veramente poco. Dei tre arcangeli, che oggi celebriamo, conosciamo bene i nomi. Si tratta di nomi che esprimono ciò che loro sono incaricati di fare.
Tutti e tre rappresentano qualcosa che viene da Dio: i loro nomi, infatti, finiscono in –ele, che in ebraico significa “di Dio”. Essi vengono da Dio come suoi messaggeri e aiutanti degli uomini nel bisogno.
Il nome Gabri-ele significa «forza di Dio». Questo angelo si presentò a Maria con la forza divina che diede alla Madre di Gesù la possibilità di concepirlo verginalmente.
Un po’ meno famoso è Raffa-ele, il cui nome vuol dire «cura di Dio». Si tratta dell’accompagnatore del giovane Tobia e del guaritore della cecità del vecchio padre.
Il più importante di tutti è Mich-ele, il cui nome significa «Chi è come Dio?». La sua missione non ha un compito speciale, ma interviene per ricordare che tutto dipende da Dio. Il popolo di Israele lo considerava il suo protettore e anche la Chiesa cristiana si rivolge a lui nei momenti del pericolo maggiore.
Quanti Gabriele, Raffaele e Michele ci sono oggi?
Quanti Gabriele, Raffaele e Michele ci sono oggi? Ce ne sono certamente anche qui in Duomo questa sera. Molti italiani – ma non solo – portano questi nomi. E ci sono le bambine che si chiamano Gabriella, Raffaella e Michela … con tanti diminutivi e vezzeggiativi.
Penso però che, anche senza il nome, ci siano molti di voi che sanno esprimere cura per gli altri come Raffaele, forza e decisione per gli altri come Gabriele e i diversi “Micheli” che sanno ricordare che Dio è sempre forte proprio quando noi, uomini e donne, siamo nella difficoltà.
Nell’anno che comincia e su cui chiediamo la benedizione del Signore ci auguriamo che nelle nostre scuole ci siano tanti ragazzi e docenti capaci di prendersi «cura» anche degli altri, ossia che si mettano a fare quello che Raffaele ha fatto per il piccolo Tobiolo e per suo padre. E ci vogliono anche molti “Gabriele” che usino per gli amici tutta la forza che viene e da Dio. Poi ci devono essere i Michele, quelli che non si perdono mai di animo perché sanno e testimoniano che Dio può fare veramente tutto e che nessuno è come lui.
Se questi tipi di studenti e di docenti salteranno fuori, l’anno, pur pericoloso, sarà molto bello e proficuo. Potrà splendere l’amicizia e la solidarietà.
Distanziati sì, ma insieme
Molti anni fa l’ACR cantava un canto che aveva un bel ritornello Sì, ma insieme. Il programma di quell’anno ricordava che i ragazzi avevano la sfida di fare le cose al meglio. Dovevano mettercela tutta. Al tempo stesso però, avevano il compito di fare quello che sapevano fare preoccupandosi di realizzarlo in grande, ma anche di compierlo insieme agli altri.
In questi giorni di pericolosa pandemia strisciante forse potremmo adattare anche noi un tale ritornello, dicendo Distanziati sì, ma insieme. Occorre esser distanziati con serietà. Non bastano i banchi nuovi, più piccoli, che ci aiutano alla giusta distanza. Occorre un impegno di tutti per esser a giusta distanza.
Al tempo stesso, però, dobbiamo stare distanti, ma insieme. Dobbiamo avere cura e forza per noi, ma anche per gli altri che ci sono distanti ma vicini.
Una domanda grossa e importante è: nei giorni del Covid-19 strisciante, sappiamo vivere anche per gli altri? Come andiamo a scuola, come siamo sul lavoro? Siamo attenti alla nostra salute soltanto o abbiamo cura anche degli altri? Come siamo capaci di impegnarci per loro gioia? Cosa facciamo perché la società non cada in depressione? Alcuni pensano che il problema sia riaprire tutto, soprattutto i luoghi che producono svago, divertimento, sport, movida. Ma è proprio così? La scommessa è forse più alta. Si tratta di produrre una serenità che arriva da una prospettiva più profonda della vita.
Aspettiamo tutti delle grandi novità. Una è il vaccino, ma l’altra non meno importante è che si crei uno stile nuovo di vita che ci veda più rispettosi degli altri – in questo senso più distanziati – ma più solidali e vicini nel cuore.
A me piace che alcuni abbiano inserito accanto al gesto del gomito, il mettersi la mano sul cuore. Capiti bene, tutti e due i gesti sono molto belli. Non uso più i gomiti per sgomitare da bullo, ma per toccare gli amici e i nuovi conoscenti con affetto e con gioia scherzosa. Inoltre vorrei tirare il fuori il cuore e passarti un bel po’ del calore che sento dentro.
Cari amici ogni augurio per l’anno che avete aperto nelle vostre scuole: siate gentili nell’uso del gomito e siate capaci di condividere il calore del cuore.
Siate dei piccoli/grandi arcangeli della cura degli altri, della forza spesa per gli amici e della speranza che lotta contro la depressione. Fate come Gesù, servitevi anche voi degli angeli e imitateli per essere migliori e più utili.
Veramente auguri a tutti
e Sia lodato Gesù Cristo.