Sorelle e fratelli carissimi,
la più bella delle veglie cristiane celebra la risurrezione di Gesù, ossia il dono con il quale Dio Padre risponde all’amore e alla speranza di Gesù – speranza e amore confermati nell’atroce dolore della crocifissione. Dopo aver assunto la carne dell’uomo dal grembo verginale di Maria, Gesù ritorna «da questo mondo al Padre», per essere con lui «nei cieli». Seduto alla destra di Dio, egli inaugura un’umanità nuova, ormai consorte della vita divina e non più destinata alla morte.
Il nostro lungo ascolto, in questa veglia, è cominciato proprio dal racconto della creazione perché questa notte celebriamo il nuovo Adamo: l’uomo che, dopo essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio nel paradiso terrestre, è costituito da lui davvero come suo figlio, partecipe della natura divina, nella Pasqua del Figlio.
È per questo che, in questa notte santissima, riprenderemo le promesse del nostro battesimo. Lo faremo nella certezza che attraverso di noi la vita divina può espandersi, anche oggi, nel mondo, perfino in questo prolungato ed estenuante tempo di una pandemia che ormai appare indefinita.
Ma che cos’è che rende in concreto possibile annunciare la gloria della risurrezione di Cristo? Com’è che l’atto personale di Dio, che risuscita Gesù dalla tomba, si trasforma in notizia per noi e diventa il dato più incisivo nella vita dell’umanità? Nel quadro scientifico di oggi potremmo dire che la risurrezione di Gesù rappresenta la possibilità dello scatto più decisivo nel cammino e negli sbalzi dell’evoluzione umana.
1. La comunicazione della risurrezione avviene soltanto se c’è amicizia
Il vangelo di questa notte ci suggerisce che la comunicazione dell’annuncio della risurrezione avviene soltanto là dove c’è amicizia. Sono le donne che hanno potuto ascoltare dal giovane nella tomba vuota il messaggio che «Gesù il Nazareno, il Crocifisso, è risorto». Hanno potuto farlo poggiando sulla loro amicizia per Gesù. Senza fedeltà all’amicizia con Lui quelle donne non sarebbero venute al sepolcro, non avrebbero assistito alla morte e non avrebbero visto il luogo della tomba e non vi sarebbero entrate. L’atto d’amore del Padre verso il Figlio eterno viene conosciuto dall’umanità soltanto in forza e attraverso l’amicizia – fedele, tenera e forte – delle donne per Gesù.
Perché il messaggio della risurrezione corra nel nostro mondo e diventi Vangelo, c’è bisogno della sincera amicizia tra gli uomini. Non è forse l’impoverimento delle relazioni tra di noi che ha condotto al raffreddamento della fede in tante parti del mondo e in tanti dei nostri cuori? Il messaggio pasquale non si comunica via DAD, per un’improbabile “didattica a distanza”, ma solo attraverso il contagio, come i Papi hanno ripetuto tante volte ormai da decenni, in tempi non sospetti, prima del covid-19, quando non sapevamo ancora bene quanto è efficace il meccanismo del “contagio”. La pandemia ci ha insegnato inoltre, fin troppo bene, che senza rapporto concreto, tattile e caldo le relazioni si estenuano e gli altri finiscono per diventare spettrali ed evanescenti. Se non c’è amicizia tra gli uomini, il volto di Dio diventa sbiadito e anche l’annuncio della risurrezione di Gesù appare come un’eco lontana e in definitiva non rilevante di un fatto passato.
Se ci preme che il vangelo corra meglio nel mondo, allora, mentre viviamo questa notte di risurrezione, occorre aumentare la nostra capacità di amicizia, condividendo, nell’incontro con tutti, la Parola che ci fa sperare. Se non senti il bisogno di comunicare il Vangelo, c’è di sicuro qualcosa che non va. Forse è perché con ci credi abbastanza: la tua amicizia con Gesù è solo un accessorio secondario della tua vita, un oggetto “religioso” per le grandi feste. Oppure tu non credi che gli altri abbiamo bisogno di te e della tua testimonianza. Come potrebbe un cristiano vero non reagire di fronte al deficit di speranza, che debilità la società e tante persone anche nelle nostre piazze?
2. Il vangelo ha bisogno anche dei piedi
Per il punto di riflessione, che aggiungo adesso, ho messo un titolo provocatorio: il vangelo ha bisogno anche dei piedi. Il racconto delle donne al sepolcro mostra che il vangelo non si comunica semplicemente per una trasmissione di parole e di notizie. Le donne devono correre dai discepoli per dire che non solo che il Signore è risorto, ma che loro si devono muovere. «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto … Andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete”». (Mc 16,6s).
La gioia delle donne che hanno incontrato il giovane annunciatore, diventa subito per loro cammino: devono raggiungere il luogo della loro amicizia con i discepoli. L’assimilazione dell’annuncio «è risorto» avviene per le donne non semplicemente con l’accoglienza nel proprio cuore o nella gioia, per così dire, privata: il mio amico Gesù è risorto. L’annuncio del giovane diventa vita delle donne quando queste realizzano quello scambio fraterno, caldo e ricercato, che rimetterà in moto anche i discepoli.
Pietro e gli altri raggiunti dal messaggio dovranno a loro volta “agire di piedi”. Non solo di testa o di cuore, ma anche mettendosi in cammino verso la Galilea, tornando daccapo all’amicizia con Gesù, cominciata presso il mare di Galilea quando avevano lasciata tutto …
Trent’anni fa era molto noto, anche nelle liturgie carpigiane, un canto che diceva “Cristo non ha mani, non ha piedi … siamo noi le sue mani e i suoi piedi”. Le donne e i discepoli sono stati per noi i piedi con cui Gesù ci ha raggiunto. Sappiamo anche noi farci i piedi dell’annuncio di cui parla Isaia? «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio» (Is 52,7). I piedi delle donne, i piedi dei discepoli … e i miei piedi che sentieri calcano? Non c’è qualche pantofola troppo poco profetica?
3. La notte di Pasqua e il ritorno coraggioso al daccapo della fede
Anche a Pietro e ai discepoli non basta la notizia, portata dalle donne, che Gesù è risorto. Per percepirla veramente, hanno bisogno di rimettersi in cammino cercando il loro vero maestro. Per questo Gesù dà loro appuntamento in Galilea: «Là lo vedranno». Là lo incontreranno, ma solo se i loro piedi riprenderanno a muoversi con decisione.
Tra poco vivremo due momenti molto belli: ci sarà il battesimo di una nostra sorella e, inoltre, tutti rinnoveremo le promesse battesimali. Questa coppia di momenti celebrativi è istruttiva. Non si diventa cristiani una volta per sempre, in una singola notte di Pasqua, ma nella nostra vita bisogna sempre tornare a essere i discepoli di Gesù riprendendo daccapo. In effetti c’è sempre nella storia la necessità di ripartire, di superare lo scandalo che ci irretisce. Ci vogliono molte Pasque: per diventare davvero cristiani sono necessarie molte veglie pasquali e molte promesse rinnovate.
Il Signore è veramente risorto. Tante persone che amiamo lo garantiscono anche a noi, come le donne fecero per Pietro e discepoli. Non resta che decidere di trovare il coraggio di camminare nella luce della vita nuova che il Crocifisso, risorto dopo tre giorni, ha indicato e donato nell’amore.
Bisogna tornare il Galilea. Oltre alle situazioni più personali, talvolta non simpatiche, tutti abbiamo vissuto un grosso scandalo negli sterminati mesi della pandemia. La nostra vita è stata in gran parte bloccata e solo con molto impegno ha potuto mantenere una relativa pienezza. La celebrazione della risurrezione ci spinge a riprendere in mano il nostro cammino con più entusiasmo e senza incertezze.
La domanda urgente per ciascuno di noi in questa veglia 2021 mi pare sia: dov’è la mia Galilea? Dov’è quel “tornare daccapo” in cui posso riprendermi e incontrare il Signore nella luce della risurrezione? Dove posso essere i Suoi piedi, vicino a chi ha bisogno di fiducia e di speranza? In termini laici dire: contro la desertificazione di tanti cuori, abbiano bisogno, tutti, di ricevere e di dare più amicizia. Il Signore è veramente risorto. Amen. Alleluia.