Omelia Santa Messa nella festa di San Bernardino da Siena

Patrono della Città e della Diocesi di Carpi
20 maggio 2025 – Cattedrale di Carpi

–  At 4,8-12; Sal 144; 1 Cor 9,16-23; Gv 14,12-17 –

600 anni fa Bernardino da Siena fece risuonare la predicazione del nome di Gesù nelle nostre piazze, tra Carpi, Reggio e Modena. Per il nome di Gesù, come abbiamo sentito dalla Colletta, aveva “un singolare amore”: tanto da coniare e diffondere nel popolo il trigramma, IHS che, in qualsiasi possibile interpretazione, contiene il nome del Salvatore. Bernardino aveva capito però che l’invocazione del nome di Gesù è inefficace se non si incarna in una vita nuova; sapeva bene che “non chi dice ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre” (cf. Mt 7,21). Per questo la sua predicazione nelle diverse città si intrecciava con un’opera assidua di pacificazione tra famiglie e fazioni, con l’avvio di pratiche commerciali, amministrative e finanziarie giuste, con la lotta contro l’usura e – forte della sua preparazione giuridica – con la fondazione di un’etica del giusto profitto a servizio del bene comune. San Bernardino è entrato così anche nei trattati di economia.

L’invocazione del nome di Gesù è così efficace, che lui stesso assicura per due volte, nel Vangelo appena proclamato: “qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò”. Bernardino aveva compreso che questa invocazione non è una formula magica da pronunciare con le labbra, ma è una relazione da vivere: chiedere “nel nome” di Gesù significa, come spiega subito dopo, amarlo e osservare i suoi comandamenti. Altrimenti diventa un inutile mantra: “Signore. Signore”…

Il nome infatti è relazione. Io non scelgo il mio nome, ma lo ricevo, lo vengo a sapere da chi lo pronuncia e me lo consegna fin da piccolo. Il mio nome è il primo segno che la vita è dono, non libera opzione. Quando mi sento chiamare, e io stesso a pochi mesi di vita imparo il mio nome, la vita è iniziata da tempo. Altri hanno scelto come mi chiamo e mi hanno regalato il nome; perché hanno scelto di accogliermi e mi hanno regalato la vita. Nel mio nome è incisa dall’origine una relazione di dono, un’offerta di affetto e di amore.

Gesù non fa eccezione. Il nome lo precede: “concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù” (Lc 1,31), si sente annunciare Maria; e negli stessi giorni Giuseppe sogna l’angelo che lo informa: “a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt 1,23). Quando Gesù nasce è censito nei registri imperiali con un nome che viene dal cielo. Perché la terra non può darsi da sola la salvezza, non può pretendere la compagnia di Dio: solo lui può decidere di farsi Salvatore ed Emmanuele.

“Io sono colui che sono” (Es 3,14): nella misteriosa rivelazione del nome a Mosè, Dio aveva già profetizzato il nome di Gesù: Salvatore ed Emmanuele. Promise infatti a Mosè di salvare gli ebrei, liberandoli dalla schiavitù egizia, e così di farsi prossimo al popolo. A Mosè, Dio dà un’unica garanzia: “io sarò con te” (Es 3,12): è già l’Emmanuele, il Dio con noi. Ma poi Dio stesso illustra a Mosè la portata del suo nome: “il Signore, il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre” (Es 3,15). Lui, che avrebbe potuto qualificarsi con un nome solenne e altisonante – l’Onnipotente, il Dio delle schiere, il Creatore, il Padrone dell’universo – si qualifica invece con dei nomi umani: Abramo, Isacco, Giacobbe. Uomini pieni di difetti, mortali e fragili come noi. Dio preferisce mescolare il suo nome al nostro, agganciarlo ai volti e alle storie delle sue creature deboli, piuttosto che alla maestà degli astri e delle potenze celesti.

Nel battesimo il nostro nome si è fuso con quello di Dio, ormai rivelatosi come Trinità. Il nostro nome è stato pronunciato insieme a quello di Dio, quando siamo stati battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito. Dio ci ha accolti per così dire nel suo “stato di famiglia” e da quel momento ci ha aggiunto alla schiera dei suoi figli, che da Abramo, Isacco e Giacobbe ad oggi è “una discendenza numerosa come le stelle del cielo” (Gen 22,17). Anzi, di più: non solo ci ha inseriti nel suo “stato di famiglia”, ma anche nella sua “carta d’identità”: ora Dio si definisce anche attraverso di noi; è il Dio che arricchisce il suo nome con il nostro.

Acquista allora un senso profondo l’assicurazione di Gesù ai discepoli, a noi: “i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Lc 10,20). I cieli non sono altro che il cuore di Dio. Certo, i nostri nomi sono scritti anche nei cuori delle persone care, di coloro che ci hanno voluto e ci vogliono bene: ma di lì, nel giro di qualche generazione o anche meno, si cancelleranno. Vengono scritti, poi, nei registri degli uffici comunali e statali, o forse – speriamo di no – nei registri degli uffici giudiziari; ma anche lì, tra qualche tempo non interesseranno più a nessuno, o al massimo li andrà a cercare qualche studioso, se avremo compiuto gesta degne di ricordo nel bene o nel male. Vengono scritti inoltre nei registri parrocchiali, annotati dal battesimo in avanti in occasione delle diverse tappe sacramentali e, alla fine, nel registro dei defunti. Ma anche lì, chi potrà essere interessato a ripescarli? L’unico luogo in cui i nostri nomi sono al sicuro è l’immenso registro del cuore di Dio: di lì nessuno li eliminerà mai.

E lì resistono anche i nomi di quelli che non sono stati amabili, e subito sono cancellati dai cuori umani; lì compaiono anche i nomi di chi non è mai stato annotato all’anagrafe, dei cosiddetti “invisibili”, che l’Unicef stima oggi in 150 milioni: mai registrati, perché troppo poveri, dimenticati o abbandonati. E ci sono anche i nomi dei milioni e milioni di vittime che i violenti tentano di annientare perché li ritengono indegni di stare al mondo. Nel campo di sterminio austriaco di Mauthausen, dove furono assassinate circa 90.000 persone, è stata allestita la “Stanza dei nomi”; su enormi lastre nere orizzontali, in una sala buia, sono scritti in bianco i nomi delle vittime, ricostruiti attraverso documenti che a poco a poco emergono. Finora, nonostante la distruzione di molte fonti da parte delle SS negli ultimi giorni della guerra, ne sono stati ricostruiti più di 82.000. La complessa operazione reagisce all’oblio del nome: i corpi sono ormai annullati, ma recuperando i nomi, resta almeno la memoria delle vittime.

Speriamo che presto l’elenco si possa completare e tutti i nomi delle vittime si possano scrivere sulla grande lastra. Ma rimarranno sempre sconosciute le schiere di innominati, dimenticati ed annientati che non lasciano alcuna scia nella storia. Anche per loro, anzi soprattutto per loro c’è un nome nel quale sono salvati, come dice Pietro nella prima lettura. Nel nome di Gesù tutti i nomi trovano riparo, tranne quelli dei violenti che, come Caino, volevano annientare perfino i nomi dei fratelli.

San Bernardino ci ottenga la gioia di imprimere nel nostro cuore il nome di Gesù, perché il nostro nome nel suo cuore c’è già, ed è scritto con inchiostro indelebile.

+ Erio Castellucci