Dimensione comunitaria, diocesanità e carità pastorale, fraternità presbiterale, cura della vita interiore, sequela, responsabilità amministrative ed economiche, gioia evangelizzatrice, prima formazione. Sono i capisaldi da cui prende le mosse il sussidio sul rinnovamento del clero, a partire dalla formazione permanente, dal titolo “Lievito di fraternità”, curato dalla Segreteria generale della Cei. Il testo è frutto di un lavoro portato avanti a partire dal 2014 con l’intento di “aiutare i nostri presbiteri a inserirsi come evangelizzatori in questo tempo, attrezzati ad affrontarne le sfide e attenti a promuovere una pastorale di prossimità”. Il tema del rinnovamento del clero, si legge nell’introduzione del sussidio, è stato infatti riproposto con forza all’attenzione della Chiesa con l’esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II “Pastores dabo vobis”, con la lettera apostolica “Ministrorum institutio” di Benedetto XVI e richiamato più volte dal magistero di Papa Francesco. In particolare, il tema è stato affrontato nella 67ª Assemblea generale della Cei (Assisi, 10-13 novembre 2014) e fatto oggetto di riflessione da parte delle Conferenze episcopali regionali, della Commissione presbiterale italiana e del Consiglio permanente; infine, è stato ripreso nella 69ª Assemblea generale (Roma, 16-19 maggio 2016) che ha affidato proprio al Consiglio permanente il compito di rendere disponibile il frutto del lavoro collegiale. La formazione permanente del clero non rientra nell’ambito delle attività di aggiornamento e qualificazione proprie dei campi professionali. Per questo, spiega la nota introduttiva del Consiglio permanente, “rimanda a un mistero di vocazione che trascende l’uomo: (…) la vita intera non basterà a farci davvero capire quello che siamo e a consentirci di raggiungere l’integrale intellegibilità del nostro dono”. Il sacerdote è invitato ad essere “costruttore di comunità”, perché la nuova evangelizzazione richiede una “ampia conversione pastorale” che si esprime attraverso comunità che non attendono ma vanno incontro. Quindi il prete deve essere “strumento della tenerezza di Dio”, che educhi con lo stile e le virtù del pastore, rimanendo fedele alla diocesi perché “non esiste un ministero sciolto da una Chiesa particolare”. Capace di incarnare la “profezia” di una fraternità vissuta e testimoniata, il clero è chiamato a vivere l’amicizia con il Signore stando attento a una concezione consumistica della vita che nulla avrebbe a che vedere con la sequela. In particolare, le incombenze connesse al ministero non possono prendere il sopravvento e trasformare il sacerdote in un burocrate o un funzionario: anche l’amministrazione e la gestione di enti e beni della Chiesa, infatti, devono essere affrontate come un esercizio di responsabilità pastorale, da vivere con “sobrietà ed essenzialità”.
Sir