Sacerdote fedele fino in fondo

La famiglia, il seminario, il sacerdozio: profilo biografico di don Francesco Venturelli (1887-1946)
L’assassinio di don Francesco Venturelli avvenne la sera del 15 gennaio 1946 alle 19.30. E’ il punto comunemente focalizzato sulla figura del prete di Fossoli. Anche perché tuttora, tra i molti “si dice”, non sono chiari né il killer, né il mandante, né le motivazioni del delitto. La tragica conclusione fu coerente con tutta la sua vita. Non fu un atto istintivo di eroismo, ma l’ultimo dovere onorato nel suo ufficio di “uomo che faceva il prete” (Danilo Sacchi) per conto di Cristo. L’uomo, il prete, il martire compongono una figura particolarmente significativa, sicuramente degna di particolare attenzione da parte della diocesi di Carpi, delle parrocchie di Mirandola e Fossoli e dell’Agesci, di cui fu il fondatore (1922) nella nostra zona. Aiutano in questo anche i nuovi documenti accessibili all’Archivio di Stato di Bologna e quello parrocchiale di Mirandola.
Famiglia e il seminario
Don Venturelli nacque il 31 marzo 1887 a Ganaceto di Modena, dove fu battezzato 15 ore dopo la nascita. Suo padre Celso era impiegato nelle ferrovie. Terminò la carriera come capo stazione di Rolo. La famiglia era praticante e, per i tempi, “benestante”. Come accadeva, accolse “come fi glia” una bambina, rimasta orfana, di nome Cenere, che non si sposò e rimase in famiglia anche da adulta. Da ragazzo Francesco lasciò i genitori, il fratello e le quattro sorelle per entrare nel seminario modenese e poi in quello carpigiano.
Sacerdote a Mirandola e servizio militare
Fu ordinato prete il 20 settembre 1913 a Carpi. Dopo due settimane fu inviato come cappellano di Santa Maria Maggiore a Mirandola, allora retta, fi no al 1927, da monsignor Roberto Maletti. La figura di questo prevosto, dotato di buona cultura e impegnato socialmente, ebbe un peso importante nel percorso pastorale di don Venturelli. Il giovane sacerdote aveva preso molto dai tratti umani della madre Eufemia. Da don Maletti prendeva l’attenzione alla realtà effettiva delle persone, come appare dai suoi giudizi, a volte taglienti, sui fascisti, sui comunisti, sui parrocchiani, sui vescovi. Era da poco tempo a Mirandola, quando fu arruolato per il servizio militare. Aveva due opzioni: cappellano o servizio sanitario. Optò per la sanità. Ebbe sette assegnazioni diverse da Piacenza (6-11-1915) a Chioggia, che lasciò con deun buono stato di servizio nel maggio 1919. Durante il servizio militare ebbe cura di continuare sempre il breviario e la preghiera personale. Tornato a Mirandola, animò la pastorale giovanile d’intesa con il parroco. Volle sperimentare il nuovo metodo scout, che attuò con accuratezza, comparandolo con quello più tradizionale di Azione Cattolica. Gli fu affidata anche l’assistenza religiosa dei Balilla. L’intesa con il nuovo parroco don Muzzioli non fu delle migliori e quindi, con soddisfazione dei politici locali, dovette fare un passo di lato. Gli furono assegnate le celebrazioni liturgiche alla chiesa sussidiaria del Gesù, l’assistenza religiosa al Ricovero di mendicità, al Collegio delle Orfanelle e all’Ospedale.
Nel 1935 è parroco a Fossoli
A ben 48 anni divenne parroco di Fossoli, piuttosto avanti negli anni per un tale incarico. Comprensibile, d’altra parte, se pensiamo che le parrocchie della diocesi erano 31 e i preti 90. Fossoli contava 3.028 abitanti; Carpi 13.793. Ecco come don Venturelli de scrisse la sua nuova parrocchia nella Rubrica, un quaderno nel quale annotava gli avvenimenti di rilievo fino a tutto il 1945: “Popolazione buona, e socialista sempre ma non rivoluzionari. Subìto il fascismo, accettato mai, ma senza reazioni serie se non qualche ragazzata. Maggior parte: braccianti, cioè lavoratori quando ne trovano. Scure e antigieniche le abitazioni quindi non amanti della casa. Mangiano fuori davanti alla porta con il piatto in mano. Abulici e reattivi allo studio. Nulla avendo, avidi di tutto e specialmente di divertimento”. Aggiunse poi, sempre con stile telegrafico: “Religiosamente: indifferenza, assenza degli uomini come dappertutto lontani per principio; politica: vecchia socialista che i dirigenti hanno dato un indirizzo anticlericale. Partecipano alle funzioni di Pasqua e Natale e di S. Antonio del porco perché è loro protettore”. Il nuovo pastore lascia intuire il suo progetto, prendendo le distanze dal suo predecessore don Gino Lugli, “che, come tutti gli uomini che vivono intensamente la vita interiore non hanno molto senso pratico, e anche agli altri a volte insegnano ad applicare un fi ne e una virtù più soprannaturale sorpassando e negando il principio e la virtù naturale. Errore imperdonabile; ma in loro scusabile”. Smise pertanto di “pressare” i fedeli a ricevere i sacramenti, ma fu sempre presente nel contatto personale e nel servizio. Come quando nel febbraio 1942 nota: “10.30 Funerale Zanotti Ettore sotto la neve e poi alle 13,45 in Gruppino cioè 10 km distante e con 40 cm di neve e 38 di febbre”. Allora i funerali si facevano sempre a piedi dall’abitazione alla chiesa. Il “senso pratico” lo visse non solo nel fedele servizio del ministero, ma anche in opere come il campanile innalzato ex-novo, il sostegno all’Asilo parrocchiale, un nuovo altare in chiesa, l’apertura della canonica ai ragazzi e un nuovo contratto mezzadrile.
Il rapporto con il Campo di Fossoli
L’attività per la quale è più noto don Venturelli è l’assistenza pressoché quotidiana prestata al Campo di Fossoli dal luglio 1942 fi no alla morte. La struttura fu costruita appositamente per le esigenze della guerra in Via Grilli. Vi furono accolti in successione: 1500 profughi italiani dalla Libia, poi 2.500 prigionieri di guerra inglesi e neozelandesi, ebrei e politici (nel 1943-44), profughi stranieri, lavoratori coatti per la Germania. Dopo un vuoto all’inizio del 1945 il Campo passò dai tedeschi al Comitato di Liberazione Nazionale, accogliendo alcuni dispersi, alcuni tedeschi e membri del passato regime fascista. Don Venturelli fu sempre presente, portando aiuti materiali e gestendo un gran numero di informazioni tra gli internati e i loro parenti, ospitati talvolta anche in canonica. Tutto veniva gestito, non senza pericolo, dal parroco, che teneva note accurate delle carte e degli oggetti dati e ricevuti e delle informazioni, di cui era venuto a conoscenza, ai parenti. Colpisce, ad esempio, come nell’inverno 1943 riuscisse a procurare centinaia di zoccoli con plantare in legno per gli ebrei, altrimenti costretti a camminare nel fango del terreno. A un certo punto, esaurite tutte le risorse personali, chiese un prestito ai chierichetti dai loro risparmi custoditi in cassettine nominali riposte in sagrestia. Come era suo uso, rilasciò anche ai ragazzi le apposite ricevute. L’opera svolta indistintamente per tutti i detenuti divenne per lui particolarmente insidiosa nel clima turbolento che si ebbe dopo la fine della guerra. I detenuti, più o meno coinvolti nei delitti del fascismo e del nazismo, a loro volta erano a conoscenza degli altrui delitti. Diversi avevano “facce molto brutte”, come don Francesco diceva a un amico. Senza volere, egli custodiva informazioni molto pericolose. In più era difficile distinguere amici e nemici. Per dire, un tenente del Campo che spesso veniva in canonica amichevolmente, dal giorno del delitto sparì nel nulla.
Consapevole del pericolo
Don Venturelli era consapevole di essere in pericolo. Dal novembre 1945 lo ripeteva espressamente e dava disposizioni per la sua sepoltura. Anche altri preti erano nel mirino e vennero assassinati. Nonostante le raccomandazioni, in quel clima pesante continuava assiduamente a far visita a tutti. Quando però cominciò a portare ai detenuti il giornalino “La Lanterna”, di “ispirazione antidemocratica” come scriveva “la Voce del Partigiano” di Modena del 13 gennaio 1943, venne “avvertito”. Per tre volte trovò tagliati i copertoni della bici, ma apparentemente non dette importanza: “ragazzate” diceva. La predetta “Voce” nello stesso testo insinuò, con una nota in evidenza, che il prete stesse dalla parte “dei traditori del popolo italiano”. Don Francesco era piuttosto alto e massiccio, ma non obeso. Aveva una voce grave e pastosa. Il taglio dei capelli era a spazzola o all’umberta, come si diceva allora. Non era di molte parole, ma parlava proprio a tutti ed era percepito come un prete “popolare”. Le parole che diceva sapevano anche consolare, incoraggiare, come ricordano varie persone venute a Fossoli per attingere informazioni o certi ragazzi aiutati per le difficoltà scolastiche. Viveva in una bella canonica con la sorella nubile Adalgisa, Cenere e la cara mamma, che morì nel marzo 1942. Commentò nel suo stile: “Donna di fede” e null’altro. La sobrietà e la precisione caratterizzano i suoi scritti. Era solito dedicare il martedì alla lettura. La sua biblioteca non si era fermata ai volumi del seminario e conteneva anche vari libri da far leggere ai ragazzi.
La fine
La sera del 15 gennaio 1946 uno sconosciuto bussò alla canonica. Chiamava il prete per un ferito steso sulla strada statale. La sorella cercò di dissuaderlo dall’andare, ma lui, senza rispondere, prese il necessario e andò subito. C’era la neve. Dopo pochi passi nello stradello che portava alla pubblica via, un colpo di pistola a bruciapelo lo colpì alla tempia destra e uscì dall’occhio sinistro. Mentre si accasciava, un secondo colpo lo raggiunse alla schiena. Il killer fuggì immediatamente sull’auto che l’aspettava. Il mezzadro e il sagrista accorsero e lo caricarono esanime sul “carriolo” agricolo e lo stesero in canonica sul bigliardo. Il giorno 17 al mattino il vescovo Vigilio Federico Dalla Zuanna fece visita alla salma e il 18 presiedette i funerali, per i quali impose un profilo basso. Presenziarono le due donne di casa, due preti, il sagrista e due parrocchiane. Fu sepolto nel cimitero comunale. La tristezza di alcuni parrocchiani stridette con la manifesta soddisfazione di altri, che si spinsero fino alla derisione. Il mese dopo il vescovo celebrò una solenne messa di suffragio in cattedrale. La salma venne esumata il 17 novembre 1995 per essere collocata in terra sotto l’altare della nuova chiesa parrocchiale, in cui venne anche scoperta una lapide al momento dell’inaugurazione. Dal terremoto del 2012 la chiesa è tuttora chiusa e la tomba inaccessibile. La chiesa verrà sostituita. Il Comune di Carpi gli ha dedicato una piazza. Il 25 aprile 2006 il Presidente della Repubblica gli ha conferito la medaglia d’oro al valor civile. Al tempo del delitto la pesante omertà imposta non permise di accertare né l’esecutore, né il mandante dell’assassinio. Molti allora pensarono ai “comunisti”. Per me è ben più importante che cosa pensava la vittima. Visse i suoi anni con un forte senso del dovere e in particolare del dovere di sacerdote di Cristo. A un certo punto comprese, verso la fine del 1945, che c’era da fare un passo in più rispetto alle fatiche precedenti, che pure non furono poche. La sera di quel 15 gennaio venne il momento di dire un sì incondizionato. E’ stato l’ultimo sì, quello dell’autentico martire cristiano.
Le immagini del registro anagrafico e della famiglia Venturelli sono state gentilmente messe a disposizione dalla signora Teresa Tognoni di Rolo, parente di don Francesco.
Pagine speciali realizzate in collaborazione con il gruppo Scintilla