(Letture: Gen 9,8-18; Sal 24; 1Pt 3,18-22; Mc 1,12-15)
“Convertitevi!”: siamo talmente abituati a sentire quel primo invito che esce dalla bocca del Signore, che forse automaticamente lo interpretiamo come uno sforzo di volontà dipendente da noi. Sembra un appello alle nostre energie perché cambiamo vita. Ma c’è un significato più profondo in quel “convertitevi!”, c’è una dimensione che spesso purtroppo dimentichiamo, affannati come siamo a fare delle cose, a fare anche “le cose della fede”; e la dimensione più grande quella che precede, che ci precede è la conversione del Signore. Lui si è convertito per primo; non è un azzardo, il mio, è scritto nel libro di Giona e nel libro di Gioele: Dio si converte; ed è proprio la parola che usa Gesù: “convertitevi!”.
C’è dunque una conversione di Dio, prima e più grande della conversione dell’uomo: è un volgersi verso l’uomo, prendere decisamente la rotta dell’uomo: questo è il primo atto di Dio. Gesù ha interpretato pienamente la conversione di Dio, il suo volgersi decisamente verso di noi; e forse per questo prima di predicare la conversione ha voluto vivere l’esperienza della conversione: per questo la predicazione sui sentieri della Galilea segue i quaranta giorni di deserto nella Giudea.
Questa concentrazione dell’esperienza del popolo d’Israele – quarant’anni nel deserto, dove il popolo fu continuamente tentato e dovette convertirsi se voleva arrivare alla terra promessa – Gesù l’assume su di sé, non vuol sentirsi dire “Tu predichi bene e razzoli male”. Lui prima razzola, prima sperimenta, prima si lascia tentare e si “converte”, e poi annuncia agli altri la conversione. Gesù dunque è il Dio che si con-verte all’uomo, che si volge totalmente all’uomo. È il Dio che non sta a guardare le vicende umane dall’alto, ma getta sempre dei ponti, anzi potremmo dire, con la prima lettura, che getta degli arcobaleni, questi ponti fra il cielo e la terra per dire fin dall’inizio della storia umana: “Io son un Dio rivolto verso di te, convertito a te”; e lo ripete fino alla fine, come si legge nell’Apocalisse: “sto alla porta e busso”, faccio di tutto per entrare nel tuo cuore; l’unica cosa che non posso fare è violare la tua libertà. Se tu tieni il catenaccio chiuso, io non butto giù la porta, perché l’amore non viola la libertà, l’amore attiva la libertà, l’amore fa di tutto per essere accolto, ma non usa mai la violenza verso l’amato.
Un Dio che si converte è proprio il contrario di un Dio che ci chiede di salire fino a Lui con degli sforzi di volontà, accumulando dei meriti per ciò che facciamo: è già sceso Lui. È sceso attraverso questo arcobaleno, questo scivolo che dal cielo viene sulla terra.
Certamente ai tempi di Noè non si poteva immaginare una cosa del genere, però già ai tempi di Isaia, molti secoli dopo Noè, il profeta diceva: “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” Gesù realizza questa discesa, Gesù è l’arcobaleno tra Dio e l’uomo, è il Dio che si è totalmente “convertito” all’uomo, si è immerso senza riserve nella carne umana. Credo che sia uno dei pilastri dell’insegnamento di don Giussani: il Dio che si fa carne, la carne di Dio, che è proprio il contrario di quel Dio onnipotente, distaccato, assoluto che guarda le cose della terra, di derivazione greca, ma che si insinua così facilmente nella nostra religiosità, anche perché scomoda meno. Se Dio sta lassù, lo possiamo disturbare ogni tanto con qualche preghiera, con qualche sacrificio, con qualche offerta, ma solo se ne abbiamo bisogno.
Perché oggi il problema non è tanto quello dell’esistenza o meno di Dio, quanto quello della rilevanza o meno di Dio, della presenza o meno di Dio. Molti dicono: “ci sarà qualcosa”, “ci sarà qualcuno che ha messo in moto tutto”, perché è pur vero che nulla si crea da se stesso; però che poi questo qualcuno sia rilevante è un passo ulteriore, che può fare solamente chi crede che questo qualcuno abbia preso un volto, una carne. Dio ha fatto il primo passo, si è convertito a noi. La nostra conversione allora non è uno sforzo per conquistarci Dio, è una risposta alla sua visita, è l’accoglienza della sua parola. Per questo Gesù girava per la Galilea, dicendo “Il Regno di Dio è vicino, convertitevi”! cioè: “Rispondete! Non pensate di guadagnarvi Dio attraverso i vostri sforzi umani”, attraverso questi moralismi che spesso diventano anche formalismi; e Gesù dovrà combattere molto contro questa idea che Dio si possa guadagnare attraverso dei meriti.
I nostri meriti, se ci sono, sono risposte: queste sì che dipendono dalla nostra libertà. Noi non possiamo vivere una fede – o meglio qualcuno ci prova, ma sarebbe veramente disumano – una fede, dicevo, che pensa di salire sui nostri meriti fino al monte dove abita Dio. La nostra fede è semplicemente togliere il catenaccio, perché il Signore possa entrare dalla porta del nostro cuore: Lui è già qui.
È il capovolgimento dell’annuncio cristiano. Era una delle passioni di don Giussani. Dio ha preso il volto di Cristo, è qui, ci è venuto a trovare, cammina con noi, ci coinvolge, ci raduna, non aspetta che noi saliamo da Lui. E così la vita cristiana è molto più gioiosa. Quella caricatura che vorrebbe che i cristiani soffrissero quaggiù per essere felici lassù, Gesù non l’ha mai appoggiata. Gesù ha parlato di un centuplo già quaggiù, di una umanità piena nel seguirlo.
Proprio perché non dobbiamo camminare sui nostri sforzi, ma dobbiamo semplicemente aprire il cuore al grande sforzo di Dio, alla grande opera di Dio: farsi carne, camminare in mezzo a noi.
+ Erio Castellucci