Alla scuola di Papa Francesco s’impara a sognare. Spesso nelle udienze fa riferimento ai sogni dei bambini e dei giovani, dei malati e degli anziani, delle famiglie e delle comunità cristiane, delle donne e degli uomini di fronte alle scelte importanti della vita. Sognare con Dio e con Lui osare e agire!”. Si apre così il messaggio dei Vescovi italiani nella 39ª Giornata nazionale per la vita, che si celebra domenica 5 febbraio. Parole che ben si adattano a tratteggiare la dimensione di accoglienza e di accompagnamento in cui si adopera il Centro di aiuto alla vita (Cav) Mamma Nina di Carpi. “Far intravedere alle donne il futuro che loro ‘non osano’ – ma vorrebbero! – sognare è un bel modo per raccontare il ruolo dei volontari Cav – afferma la presidente Benedetta Bellocchio -. Spesso, di fronte a una gravidanza difficile, si vedono bene gli ostacoli, ciò che è complicato, anche perché oggi ‘bisogna essere realisti’, ci dicono. Ma questo uccide la speranza. Molti problemi davvero non si possono risolvere, altri richiedono tempi lunghi, molto più di quei nove mesi: allora si pensa all’aborto. Dimenticando che una vita nuova porta con sé possibilità inedite di crescita, di relazione, di progettualità. Queste mamme, possiamo dire, hanno la speranza che cresce nella pancia!”. Quali sono gli ostacoli maggiori al “sogno” di mettere al mondo una nuova vita? Oltre a quelli, per così dire, materiali, che peso ha la mentalità diffusa che Papa Francesco chiama “cultura dello scarto”? C’è l’idea, sbagliata perché la legge non lo dice in nessun punto, che l’aborto sia un diritto; e che l’autodeterminazione – della donna in questo caso – possa avvenire a scapito di un altro soggetto. Tutto questo mina le basi stesse del nostro vivere comune. Eppure la cultura dello scarto ci porta lì: a non riconoscere dignità e diritti a questi soggetti più fragili. Ancora: non c’è una consapevolezza dello sviluppo dell’embrione, del suo protagonismo nel crescere dentro l’utero. Ma credo manchi soprattutto una cultura diffusa che accolga con gioia l’arrivo di un figlio: le nostre città dovrebbero diventare luoghi molto più accoglienti di come sono ora. A riguardo dei Cav si parla innanzitutto – e non può che essere così, ovviamente – di donna, donne e della loro condizione. Ma qual è il ruolo degli uomini? Oggi c’è l’idea che sia solo la donna a poter decidere sulla vita di quel figlio e così tutto il peso cade su di lei. I padri un po’ si sono adeguati, un po’ si sono nascosti dietro questo approccio culturale – ma anche psicologico – che a mio avviso ha bisogno di correttivi. Anche quelli che restano accanto, dicendo “devi decidere tu”, non creano libertà ma una terribile solitudine. Sicuramente trovare uomini coraggiosi, capaci di spronare, sostenere, accogliere, aiuterebbe queste mamme. Quando ci sono, l’aborto viene facilmente scartato! Quanti “sogni” vi è stato possibile realizzare prendendo per mano le mamme incontrate? Abbiamo appena concluso un Progetto Gemma – una bimba, quinta femmina, nata a fine 2015 – mentre un altro è ancora in corso, con il sostegno a una giovane mamma al primo figlio. Nei cinque anni di attività abbiamo seguito circa 30 famiglie che inizialmente avevano intenzione di abortire o erano molto in diffcoltà, e abbiamo visto nascere i loro bimbi. Certo non sono mancati i casi in cui le donne hanno deciso di interrompere la gravidanza, ma questo ci sprona a continuare nel nostro impegno. Di che cosa ha più bisogno al momento il Cav Mamma Nina? In questo momento al di sopra di ogni cosa servono volontari che mettano a disposizione anche poco del loro tempo. Infi ne, abbiamo visto un calo degli accessi al Cav: non perché ci siano meno aborti, ma perché c’è una scarsa conoscenza della rete esistente e la tendenza a vivere questo percorso in solitudine. Occorre che chi vede, incontra, visita queste donne, provi a inviarle più spesso ai Cav. Auspichiamo che dai percorsi fatti insieme alle istituzioni avvenga un deciso cambiamento di rotta.