Siamo tutti interconnessi

La mostra sulla “Laudato si’”, allestita al Museo diocesano per il Festivalfilosofia, illustrata dalla curatrice, Lia Beltrami
Sabato 17 settembre, alle 16, al Museo diocesano di Carpi, sarà inaugurata la mostra dal titolo “Emozioni per generare il cambiamento. Per una giustizia ecologica”, che l’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro e custodia del creato ha portato in città e ha fatto allestire in occasione del festivalfilosofia 2022. All’evento, organizzato in collaborazione con l’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo e il Dialogo interreligioso e la Migrantes di Carpi-Modena, interverrà il fotografo Asaf Ud Daula, originario del Bangladesh, autore delle fotografie esposte e dell’esposizione insieme alla curatrice, Lia Giovanazzi Beltrami. E’ quest’ultima, nativa di Trento, regista, scrittrice, produttrice, speaker, ad introdurre la mostra riflettendo in particolare sul testo che l’ha ispirata, ovvero l’enciclica “Laudato si’” di Papa Francesco.
Dottoressa Beltrami, com’è nato il progetto che ha portato alla realizzazione di una mostra dedicata all’enciclica “Laudato si’”? Il tempismo appare quanto mai azzeccato oggi, se consideriamo il pesante impatto che in questi ultimi due anni, in particolare – forse anche in modo ancora più rapido di quanto si prevedesse – hanno avuto i cambiamenti climatici a livello ambientale, economico e sociale nel mondo…
Ogni anno andavamo a fare il picnic d’agosto in un bosco meraviglioso vicino a casa: una pineta profumata, il tappeto di muschio, il sottobosco di mirtilli e funghi, il cielo sempre blu intenso, la vista sulle Dolomiti di Brenta. Era il “ristorante” più lussuoso del mondo. Un anno portammo l’ambasciatrice Evelyn Stokes Hayford, del Ghana. Arrivata al dolce, lamponi con panna fresca di malga, disse che non aveva mai mangiato in un posto più bello. Ora quel posto non esiste più: in un nefasto fi ne ottobre, era il 2018, una terribile tempesta, chiamata “Vaia”, lo ha trasformato in una distesa di alberi abbattuti. Solo desolazione intorno. L’anno scorso, mentre cercavo tracce dell’antico giardino segreto, ho visto un minuscolo pino appena nato. Mi è venuta subito in mente la forza potente dell’enciclica “Laudato si’”: la necessità di prenderci cura del creato, della casa comune, “lo zelo per la Sua casa”… E in quelle pagine ho trovato finalmente la donna e l’uomo come parte del creato, di cui prendersi cura insieme al resto. I sette giorni della Creazione si immergono nell’istante presente e trovano il centro nel cuore di Gesù.
Perché la scelta, come linguaggio espressivo, della fotografia? Lei è regista e documentarista. Com’è nato l’incontro con il fotografo bengalese Asaf Ud Daula?
Ho cercato timidamente una forma d’arte che potesse suscitare delle emozioni, emozioni non fi ni a se stesse, ma motore di un cambiamento. Ho scelto un compagno di cordata per questa avventura, trovandolo in Bangladesh, terra martoriata dalle inondazioni del cambiamento climatico, dagli scarti di un’industria invasiva e da una situazione sociale difficile. Ma terra che sa offrire scorci di rara bellezza e ricca di sguardi che squarciano l’anima. Ho incontrato il giovane Asaf Ud Daula in occasione della mostra fotografi ca del Padiglione della Santa Sede all’Expo Milano 2015. Ero responsabile dell’esposizione. L’“onda fotografi ca” era composta da 177 scatti di artisti da tutto il mondo. Il Cardinal Ravasi apprezzò molto la prima fotografi a, “Occhi di un uomo di strada”, fatta proprio da Asaf, aveva allora 21 anni. Si era fatto prestare la macchina fotografi ca, una vecchia Nippon, dal padre, Md. Shamsul Azam! Ho curato una sua prima mostra personale in Italia, durante Religion Today Film Festival. Con i proventi delle foto vendute Asaf si è comperato l’attrezzatura nuova, e tutta sua. Sono presto arrivati i riconoscimenti internazionali dal National Geographic e dalle maggiori testate dedicate di tutto il mondo, fi no al premio Agorà nel 2020, come “Miglior Fotografogreen al mondo”.
“Emozioni” e “cambiamento” sono le parole chiave scelte per il titolo. Come spiegarne il significato e l’interrelazione? In che modo le emozioni possono indurci a dare il nostro contributo nel quotidiano un nostro cambiamento a favore della cura della “casa comune”?
L’arte per sua natura suscita emozioni, provoca un cambiamento di stato d’animo toccando corde profonde e può creare un legame tra il mondo delle emozioni e il sacro. Se lasciamo fluire le emozioni, diventano come pioggia sul granito. Ma se lasciamo che ci tocchino nel profondo, possono generare il cambiamento. Allora l’arte diventa generativa, partecipa così alla creazione, diventa parte integrante del creato. Di fronte alla sfida pressante della crisi ecologica, una mostra può fare la sua piccola parte: suscitare emozioni che non si fermano lì, ma che generano un cambiamento. Se lo spettatore esce pensando: “io cosa posso fare?”, il risultato è raggiunto.
Il sottotitolo della mostra, esposta a Carpi nell’ambito del festivalfilosofia dedicato quest’anno al tema della giustizia, è “per una giustizia ecologica”. Si sente spesso parlare di “ecologia integrale”, secondo l’espressione coniata da Papa Francesco, ma forse è bene richiamarne la valenza. Che cos’è l’ecologia integrale, oltre che nel pensiero del Santo Padre, nella riflessione che ha maturato Lia Beltrami?
Questo punto: l’ecologia è integrale perché coinvolge ogni aspetto dell’umanità e del creato. Una foto in particolare rappresenta l’uomo sdraiato sul margine del fiume, quasi mimetizzato nella natura, si fa fatica a trovarlo. L’uomo e la donna sono parte del creato, non sono una realtà esterna. Siamo tutti parte del creato. Perciò l’ecologia deve essere integrale, farsi carico anche dell’umanità. Siamo tutti interconnessi: una ferita da una parte si ripercuote anche sul resto. Così dobbiamo farci carico gli uni degli altri, e insieme del creato. È una questione di giustizia sociale ed ecologica.
Alla presentazione della mostra in Vaticano, il cardinale Turkson, prefetto del Pontificio Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ha affermato: “L’interpretazione data dai creatori di questa mostra, un giovane fotografo musulmano proveniente dal Bangladesh e una regista cattolica, non solo ci mostra che la natura è piena di parole d’amore (L.S. n. 225), ma che possiamo entrare in dialogo con il Creato, la nostra casa comune, e con i fratelli e sorelle per mostrare la profonda arte dei nostri ecosistemi”. Che cosa ne pensa, quale il suo commento a questa affermazione?
Il cardinale ha centrato perfettamente tutto il percorso della mostra e l’obiettivo di “Emozioni per generare il cambiamento”. Il fatto che un giovane musulmano del Bangladesh e una donna cristiana italiana hanno lavorato insieme interpretando l’enciclica “Laudato Si’” e ora girano il mondo per presentarla, è un segno concreto di dialogo, che non avviene solo a parole. Il dialogo è fatto da azioni concrete. E questa è una di esse.

 

Nata nel 1967 a Trento, Lia Giovanazzi, coniugata Beltrami, dall’inizio della sua attività di regista nel 1992, ha realizzato oltre trenta documentari, focalizzandosi specialmente in Africa. Ha fondato nel 1997 il Religion Today Film Festival, che ha diretto fi no al 2008. Dal 2008 al 2013 è stata assessore alla solidarietà internazionale e convivenza della Provincia Autonoma di Trento. Nel 2009 ha fondato il gruppo Donne di Fede per la Pace (Women of Faith for Peace) in cui donne provenienti da diverse altre parti del mondo, di diverse religioni, e con posizioni importanti nelle proprie comunità, si impegnano per percorsi di pace. Per tale progetto, nel 2017, a Venezia, ha ricevuto il Leone d’oro per la Pace. Nel 2014 ha creato la casa di produzione Aurora Vision.

Virginia Panzani