Is 60,1-6 – Salmo 71/72 – Ef 3,2-3°.5-6 – Mt 2,1-12
Vennero da Oriente a Gerusalemme. Da Oriente, da lontano, da molto lontano, centinaia di chilometri dalla Terra Santa, il luogo eletto da Dio; dunque: stranieri, popoli pagani. Di solito noi ci collochiamo invece tra i vicini, tra quelli che attorniavano la casa di Gesù, e ci sentiamo accoglienti nei confronti dei lontani; diciamo giustamente che il Vangelo va annunciato a tutti i popoli, ai lontani, identificando i Magi con gli stranieri. Se però entriamo nella proposta del vangelo di Matteo (l’unico che ci i racconta l’episodio dei Magi) dobbiamo cambiare collocazione, perché i Magi, i lontani, gli stranieri, siamo proprio noi.
Gesù cioè, dice Matteo, non è venuto solamente per il suo popolo – il popolo ebraico – ma è venuto per tutti i popoli, ed è proprio questo il motivo per cui ci siamo anche noi. Noi facciamo parte di tutti i popoli, noi siamo al di fuori della cerchia del popolo eletto, e se noi ci siamo messi in cammino come i Magi è proprio perché Gesù si è rivolto a tutti: per questo ci siamo dentro anche noi. In questo modo il Vangelo immediatamente ci invita a non parlare di noi e degli altri (in tal caso noi saremmo gli altri), ma a parlare di una salvezza che ha una apertura universale; dice San Paolo nella lettera agli Efesini che Gesù, venendo nel mondo, ha abbattuto il muro di separazione tra ebrei e pagani.
È il nostro viaggio allora quello dei Magi; un viaggio che non è mosso dalla curiosità, né tanto meno dal desiderio di fuga: è mosso da una stella, è mosso cioè da un sogno grande, è mosso da una ricerca autentica: i Magi dovevano essere dei saggi babilonesi, abitanti nella zona tra il Tigri e l’Eufrate, dove i sapienti erano proprio dediti all’osservazione del cielo, a coglierne i segnali, a studiarli. Sono uomini in ricerca, che si muovono per desiderio di conoscere e di riconoscere la presenza di Dio nei segni che vedono. Ma sbagliano strada, come noi tante volte sbagliamo strada. Sbagliano strada forse perché attratti dalla capitale, da Gerusalemme, e impossibilitati a immaginare che questa stella che annunciava un Re, potesse condurli in un villaggio sperduto di pastori. Avranno ragionato così: “questo grande segno che si muove, ci dovrà condurre sicuramente verso una reggia, verso la capitale”. Entrano per questo nella città sbagliata e trovano l’uomo più sbagliato che potessero incontrare: il re Erode; perché nel nostro viaggio verso il Signore a volte incontriamo anche il male – Erode spesso è dentro di noi – e incontriamo l’invidia, la menzogna, la diffidenza e l’odio: “dite anche a me dove abita questo re, dove è nato, così posso venire anch’io ad adorarlo”.
Dicevo che un incontro peggiore non potevano farlo: Erode proprio l’anno della nascita di Gesù – lui morirà quattro anni dopo – aveva ucciso due dei suoi figli, per il sospetto che intendessero soffiargli il trono; e complessivamente questo re uccise una decina di familiari per lo stesso motivo. Questi uomini, i Magi, mossi da desiderio autentico, da ricerca religiosa sincera, incontrano il male, perché chiunque cerca nella sua vita incontra anche il male: lo incontra fuori di sé, lo incontra dentro di sé; però non si scoraggiano, anche se la stella pare si sia spenta su Gerusalemme: il male infatti spegne le stelle, abbassa gli orizzonti, crea il buio… tant’è vero che la stella si riaccende poco dopo, quando escono da Gerusalemme e vanno verso il paese giusto: Betlemme. Non si scoraggiano perché la stella dunque continua a guidarli: il sogno è più grande del male; vanno avanti e arrivano tra queste caverne di pastori, o piccole case di pietra e di legno, e trovano il Re. Non trovano una reggia, non una capitale e nemmeno un adulto: si imbattono in un re molto diverso da come lo avevano immaginato, per questo non l’hanno trovato subito: è un bimbo in una casetta, figlio di due popolani, non di stirpe nobile, non avvolto di vesti sontuose. Un bimbo normale.
La nostra ricerca di Dio spesso approda ad una meta diversa da come la avevamo immaginata; forse qualche volta pensiamo che Dio abiti nella straordinarietà delle cose e delle persone, o magari nelle esperienze emotivamente forti, mentre il Signore si fa trovare di preferenza nell’ordinario, nelle cose normali, nei piccoli, nei fragili. Arrivano finalmente allo scopo del loro pellegrinaggio, che ingenuamente avevano confessato a Erode: “Siamo venuti per adorarlo”. Allora – perché la stella si ferma lì – riconoscono in questo bambino il Re che deve essere adorato, si prostrarono e lo adorarono. È questa la meta del loro viaggio: l’adorazione del Re, che è un bimbo.
E quando il nostro viaggio ha buon esito, quando riusciamo ad incontrare il Signore, viene fuori il meglio di noi stessi: i Magi offrono oro, incenso e mirra, aprono i loro scrigni e tirano fuori cose preziose che Erode non aveva visto, perché il male lascia comunque chiusi gli scrigni del cuore, mentre il bene, la relazione di dono, ci invita a tirare fuori le risorse più belle dal nostro cuore. Solo quando viviamo relazioni autentiche emerge il meglio di noi.
Tornano però per una strada diversa: “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”, in seguito a un sogno. Chi incontra davvero il Signore, e fa un’esperienza di dono, chi lo adora, chi lo incontra nei piccoli, ha anche l’accortezza e il coraggio di cambiare strada, non ha paura di avventurarsi per sentieri nuovi, perché sente che il Signore lo accompagna sempre. Non rimangono a Betlemme, non diventano i discepoli di Gesù – e nemmeno lui lo chiede loro – ma ritornano alla loro vita di prima: arricchiti però dell’incontro con lui, dell’esperienza del dono.
Il Signore ci aiuti a vivere ogni giorno il viaggio dei Magi: è il viaggio della gioia, è il viaggio della salvezza dal male, è la ricerca del senso della nostra esistenza, è il desiderio di un incontro autentico che il Signore non ci fa mai mancare, se noi lo cerchiamo sinceramente.