Sir 44,16-17.19-20.23; 45.1-4.15-16; Salmo 66; Tim 24,1-8; Gv 21,15-17
Tra il vangelo appena proclamato e l’opera di Benedetto XVI esiste un particolare legame: Joseph Ratzinger si trovò infatti a contemplare proprio questo incontro di Gesù risorto con Pietro e la triplice domanda sull’amore, quando ancora da Cardinale presiedette i funerali di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro, l’8 aprile 2005; e poi si commentò questo episodio evangelico nel suo libro su Gesù (in tre tomi), un libro che lui stesso definisce un personale atto di amore nei confronti del Signore Gesù. Un’opera molto approfondita teologicamente e storicamente dalla particolare intelligenza di questo grande teologo dell’ultimo secolo. C’è anche un’udienza dedicata quasi interamente a questo incontro di Gesù con Pietro, nella quale Benedetto XVI commenta, in modo molto penetrante, la triplice domanda di Gesù e la triplice risposta di Pietro, facendo notare che l’evangelista Giovanni non usa lo stesso verbo tutte le volte; infatti, nelle prime due domande Gesù manifesta – diciamo così – una pretesa molto alta; chiede a Pietro: “Mi amitu?” (nella prima addirittura: “Mi ami tu più di costoro?” e nella seconda semplicemente: “Mi ami tu?”) usando un verbo, agapào, che indica un amore incondizionato, un amore che si dona senza pretendere il contraccambio. E Pietro, a queste prime due domande così esigenti risponde, in modo molto dimesso, rimanendo un gradino sotto: “Signore, tu lo sai che ti voglio bene”, dove l’evangelista Giovanni non usa lo stesso verbo così forte, ma usa il verbo filèo, che indica un amore di amicizia, un amore contraccambiato; è come se Gesù, forse anche per riparare al triplice rinnegamento di pochi giorni prima, volesse sapere da Pietro: “Adesso sei in grado di amarmi in maniera incondizionata?” e Pietro gli dicesse: “No, non sono ancora in grado solo di un amore così alto; sento però di volerti bene”. La terza volta – nota papa Benedetto – è Gesù che si abbassa, perché la terza domanda Gesù gliela fa in questo modo: “Pietro,mi vuoi bene?” e usa lo stesso verbo che aveva usato Pietro, che gli risponde: “Sì, ti voglio bene”. Verrebbe da dire, nota Benedetto XVI, che Gesù si è adeguato a Pietro piuttosto che Pietro a Gesù: ed è proprio questo abbassarsi divino a dare speranza al discepolo che ha conosciuto la sofferenza del rinnegamento. Da questo nasce la fiducia che lo renderà capace alla fine di dire: “Ti amo”.
Papa Benedetto faceva notare che, se c’è qualcosa in grado di mettere in moto un amore totale, questa è la fiducia: Gesù si abbassa perché Pietro si senta amato da lui e si metta in cammino: infatti, poco più di trent’anni dopo Pietro morirà come Gesù, crocifisso – ma a testa in giù – nei giardini di Nerone; a quel punto potrà dire: “Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo, non solo ti voglio bene come un amico a un altro amico, ma ora sono in grado di donarmi incondizionatamente a te”. E se Pietro potrà arrivare a dire questo nel martirio, è proprio perché Gesù tre decenni prima gli aveva dato fiducia. Se Gesù lo avesse bocciato, con la seconda domanda, e gli avesse detto: “Siccome non sei in grado di amarmi come ti sto chiedendo io a un livello così alto, ti ripudio”, Pietro si sarebbe perso; ma poiché Gesù si è abbassato e gli ha detto, dandogli fiducia: “Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli”, allora Pietro è partito. È sempre la fiducia di chi ci ama in maniera incondizionata che ci aiuta a camminare.
Ed è molto bello che oggi, ricordando papa Silvestro I in questa solennità così importante nella nostra Diocesi qui a Nonantola, noi incontriamo di nuovo questo episodio congeniale a papa Benedetto XVI, perché se c’è una cosa che si può dire di questo grande papa – e credo che riecheggerà in futuro – è quella di un amore incondizionato verso il Signore: ha affrontato – come disse lui stesso nell’ultima udienza, prima di andare a Castel Gandolfo – tante tempeste; a volte, disse in quella occasione, gli sembrava di essere con i discepoli sulla barca mossa dalle acque agitate, e pareva che il Signore dormisse; però ha avuto una grande fiducia in quel Signore a cui aveva dedicato tutta la sua vita.
Credo che questo faccia bene a tutti: sapere che il Signore ci chiede molto: “Mi ami tu in maniera incondizionata?”, ma poi – potremmo dire – si accontenta del livello che possiamo dare in quel momento, e ci dà fiducia: è proprio con questa fiducia che noi possiamo camminare.
Ringraziamo il Signore per l’esempio di papa Benedetto che fino alla fine, anche negli ultimi dieci anni di silenzio e di preghiera, come ricorda papa Francesco, è stato custode silenzioso della Chiesa. Dallo stesso vangelo abbiamo ascoltato una profezia scomoda da parte di Gesù nei confronti di Pietro: giungerà un tempo in cui l’apostolo andrà dove non vorrebbe andare, dove un altro lo dovrà vestire; un’esperienza vissuta dallo stesso papa Benedetto, negli ultimi anni: nella sua stessa rinuncia e nel tempo che ne è seguito, questo papa ci ha testimoniato dove può arrivare l’accoglienza dell’amore incondizionato del Signore.
Prima di arrivare a dire “tu sai che ti amo”, però, come Pietro anche noi attraversiamo tante fasi, sperimentiamo i nostri limiti: come Pietro, ci troviamo a rinnegare Gesù, a dissentire dalle sue parole e dalle sue decisioni, viviamo i nostri difetti, le nostre fatiche, le nostre cadute… però questo papa ci ha mostrato che chi si fida del Signore poi viene portato da lui nella gioia fino alla fine, anche nei momenti di difficoltà e di fatica. Allora possiamo rispondere come Pietro senza farci troppi sensi di colpa: “Signore, tu sai che io ti voglio bene, con tutte le mie riserve; però sai anche che il tuo amore e la tua fiducia mi faranno fare dei passi più grandi, mi faranno percorrere la strada della vita con gioia fino al giorno dell’incontro con te”.