di Virginia Panzani
In occasione della sua ordinazione diaconale, Stefano Simeoni ha accettato di raccontarsi a Notizie, presentandosi ai lettori e ripercorrendo il cammino vocazionale che l’ha portato fin qui, alla data dell’11 febbraio 2024.
Originario di Teramo, 37 anni, dopo essersi diplomato al liceo scientifico, Stefano ha fatto una esperienza lavorativa nella carpenteria industriale, al termine della quale, l’anno seguente, si è iscritto alla facoltà di Economia dell’Università di Pescara. “Coltivavo il grande sogno della mia adolescenza – spiega -, lavorare nell’ambito dell’industriaimprenditoria per creare valore e posti di lavoro con le mie idee e il lavoro di squadra di gente guidata dallo stesso sogno. Per fare questo iniziai sin da subito a studiare con rigore e passione, perché il sogno nel cassetto era quello di poter completare l’iter di studi all’Università Commerciale Bocconi a Milano”. Conseguita la laurea triennale, fu così che Stefano si iscrisse al test di ingresso a Milano arrivando ad un ottimo punteggio, che, insieme alla media degli esami molto alta, gli permise di essere ammesso. “Ero al settimo cielo! – afferma -. Era inoltre una forma di riscatto sociale, per via di una fanciullezza e un’adolescenza tutt’altro che spensierate, ma nulla riuscì a scalfire quel sogno, era l’unica cosa che muoveva ogni mio passo. All’epoca ero molto lontano dalla fede e a dir poco critico nei confronti della Chiesa”.
Stefano, nelle note biografi che che hai scritto per la rubrica del Seminario pubblicata su Notizie nel novembre scorso, si legge che, ad un certo punto della tua vita, è avvenuto “l’incontro con il Signore”. Cosa è successo e come ti sei sentito chiamato a seguire Gesù intraprendendo il cammino di discernimento e verifica in Seminario?
La cosa che mi mandò in crisi fu proprio il fatto che, nonostante fossi stato ammesso in Bocconi, l’euforia dei primi giorni si trasformò in un enorme ed incolmabile vuoto che celava una profonda disillusione, “un cuore ferito non guarisce con un pezzo di carta!”, fu questa l’amara constatazione che fui costretto a fare. Mi ricordo chiaramente la sensazione di fallimento e di non-senso di quelle settimane, avevo lavorato duramente per inseguire un sogno, l’avevo raggiunto ma neanche quello era sufficiente per essere felice. Proprio in quei giorni, dopo la discussione della laurea triennale, in quel vortice che stavo vivendo, arrivò un curioso invito: un pellegrinaggio a piedi al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata partendo da Teramo. In quella precisa notte tra l’8 e il 9 agosto 2009, mentre disperato e arreso per la prima volta riuscivo ad alzare il mio grido di aiuto a Dio, il Signore si fece sentire. Fu una esperienza di profondo amore di Dio, sentii Gesù vivo, che mi amava, non mi giudicava, mi accoglieva in quella stessa condizione di fragilità, iniziò a spuntare all’alba di quel giorno una cosa della cui esistenza fortemente dubitavo: la speranza!
Il diaconato è per te una tappa “di passaggio”, perché, a Dio piacendo, si prevede che il tuo cammino proseguirà con il presbiterato. In che modo ti proponi di vivere questo ministero?
Mi propongo di viverlo in pienezza utilizzando tutte le facoltà annesse, che sono pastoralmente molto rilevanti. Certamente i tre ambiti su cui cercherò di rendermi disponibile sono la pastorale giovanile, gli ambiti legati alle fragilità/ povertà materiali e spirituali ed il primo annuncio di frontiera,
oltre certamente all’intercessione a favore della Chiesa tutta che per me rappresenta una vera e propria chiamata nella chiamata.
Che cosa hai imparato dalle parrocchie dove hai prestato servizio da seminarista – in particolare Mirandola, dove sei stato per due anni e dove avverrà l’ordinazione diaconale – e, più in generale, dalle realtà delle Chiese di Carpi e di Modena che hai frequentato? Come ti hanno accompagnato nel tuo discernimento?
Le esperienze pastorali in questi anni sono state davvero di spessore e – direi – in un crescendo man a mano che aumentava la mia esperienza e quindi la capacità di inserirmi nei vari contesti. I parroci che mi hanno accolto sono stati dei veri maestri e padri insegnandomi la prudenza, il discernimento, la lungimiranza nelle scelte e la capacità di sacrificarsi per il popolo. Anche l’incontro e accompagnamento di tanti ragazzi ed educatori è stato decisivo, anche a livello di discernimento vocazionale l’intreccio di tutte queste relazioni di qualità è stato decisivo per dire il sì definitivo. Soprattutto il contatto con la sofferenza giovanile e l’incapacità da parte di tanti di trovare il senso della vita mi ha fatto percepire chiaramente l’urgenza massima di annunciare il Vangelo e di farlo con vigore e parresìa. Mi sento realmente accompagnato, nell’amicizia, nella stima e nella preghiera dalle tante comunità conosciute a Teramo, Milano, Carpi e Modena e colgo già da ora l’occasione per ringraziarle di cuore. La vocazione non è il risultato di una frenetica corsa ad ostacoli di un supereroe, ma il progressivo schiudersi di un cuore concimato dalle esperienze di bene che incontra nelle varie comunità. Sull’altare si vede un solo volto ma in realtà dietro quest’uomo ci sono le storie portate a frutto di tutti coloro che hanno creduto in lui e lo hanno sostenuto, credo che questo sia uno degli aspetti più affascinanti.