Conferenza all’incontro con gli insegnanti e gli operatori della scuola

06-12-2018

“La Chiesa e la cultura occidentale”
Conferenza del Vescovo Francesco Cavina

INTRODUZIONE
L’influenza del cristianesimo in Europa è un fatto incontestabile. La storia, i monumenti, le opere d’arte, la letteratura lo testimoniano. Anche diverse istituzioni civili sono di origine cristiana. Si tratta di dati oggettivi che valgono sia per gli amici che i nemici del cristianesimo.
Quanto alla conoscenza del cristianesimo, molti pensano di conoscerlo. Ma non è così. Potremmo dire, senza esagerazione, che la religione che gli europei conoscono meno bene è il cristianesimo. Ne ignorano le dottrine più elementari anche se quasi tutti sono passati davanti ad una chiesa, vi sono entrati per una qualche ragione, hanno sentito parlare di Dante, Pascal, Giotto. Ma è sufficiente una infarinatura superficiale per capire il messaggio cristiano? Le altre religioni sul cristianesimo hanno almeno un vantaggio. Sono conosciute poco e proprio perchè si crede di non conoscerle si sente il bisogno di mettere in opera uno sforzo per approfondirne la conoscenza.
IL CRISTIANESIMO E LA CULTURA DEL SUO TEMPO
Storicamente il cristianesimo si è insediato in uno spazio che era già “occupato” dalla cultura ebraica, greca e romana. Non pretese di sostituirsi ad esse, ma si limitò a correggere ciò che gli sembrava contrario al suo messaggio. E lo fece poco a poco. Scrive, Remi Brague, Il cristianesimo non ha solo ereditato dalla cultura ebrea e da quella greco-romana. Le ha accettate, riconoscendo molto esplicitamente di essere venuto dopo e di non avere inventato tutto. (docente e filosofo franceseprofessore di Filosofia medievale e araba presso l’Università Paris 1 Panthéon-Sorbonne. È titolare di una cattedra alla Università Ludwig Maximilian di Monaco ed è stato inoltre professore invitato presso numerosi atenei, tra cui la Pennsylvania State University, la Boston University, il Boston College, l’Universidad de Navarra di Pamplona e l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Proprio perché il cristianesimo ha valorizzato ciò che ha trovato, l’antichità classica è diventata un serbatoio inesauribile da cui i Padri della Chiesa (Agostino, Ambrogio), i grandi intellettuali del Medioevo (Pietro Lombardo, Tommaso d’Aquino) e del Rinascimento attingevano per le loro riflessioni.  L’Europa, per secoli, ha reclutato le sue elites in base alla loro capacità di leggere le lingue di un’altra civiltà. Non parlo del solo latino, ma soprattutto del greco; non solo il latino e il greco degli scrittori cristiani, ma soprattutto dei grandi autori dell’Antichità pagana.
Il cristianesimo, poi, ha svolto un ruolo fondamentale nella nascita e nell’ espansione del sistema universitario moderno, nella elaborazione del diritto internazionale, nel riconoscimento della dignità della persona umana, fondata sul fatto che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza e quindi tutti davanti a Lui sono uguali. Si tratta di un aspetto del tutto nuovo, poiché nell’Antichità l’idea di uguaglianza tra gli uomini era sconosciuta. Non va, poi, dimenticato il ruolo avuto dal cristianesimo nella fondazione di ospedali e di altri centri caritativi e assistenziali. Questa fioritura di opere nasce da una virtù tutta cristiana, la carità.
Mi piace ricordare, in particolare, che la civiltà europea ha un particolare debito nei confronti del grande lavoro svolto dai monaci. E’ stato nei monasteri che i testi romani sono stati copiati e conservati per le future generazioni.
La vita monastica medievale è stata essenziale anche per lo sviluppo dell’agricoltura. In particolare, migliaia di monasteri benedettini hanno svolto un ruolo decisivo nella bonifica e nella coltivazione della terra. Essi hanno trasmesso alle popolazioni locali importanti tecniche quali l’allevamento del bestiame, la produzione di formaggi, la gestione idrica e l’apicoltura. Ha avuto un ruolo importante per lo sviluppo dell’energia idrica e della metallurgia. (Leo Moulin, La Civiltà dei Monasteri; la Vita quotidiana secondo san Benedetto; Itinerario spirituale di un agnostico; Regine Pernoud, La donna al tempo delle cattedrali; Testimoni della luce)
Anche lo sviluppo dell’arte è in stretto rapporto con il cattolicesimo.

L’ARTE
Da che cosa nasce l’arte cristiana? Il cristianesimo si inserisce nel solco della religione ebraica e da essa assume, inizialmente, anche il rifiuto dell’arte, in quanto poteva portare all’idolatria. Molto presto, però, la posizione ebraica venne superata dalla Chiesa perché si incominciò a pensare l’arte alla luce della Incarnazione del Figlio di Dio. Nel mondo ebraico la proibizione dell’uso delle immagini era legata all’impossibilità di raffigurare Dio. La religione cristiana si fonda, invece, sul fatto che Dio ha reso visibile la sua immagine nel volto umano di Gesù e quindi l’uomo ha la possibilità di fare esperienza dell’invisibile. Illuminanti a questo riguardo le parole di Gesù: Chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14.9).
Le porte allo sviluppo dell’arte si sono definitivamente aperte nel IV secolo, quando la Chiesa si è trovata impegnata a discutere del rapporto che esiste tra la natura divina e la natura umana di Cristo. Il quarto Concilio Ecumenico, tenutosi a Calcedonia, risolse tale spinosissima questione definendo Cristo vero Dio e vero Uomo e quindi la natura umana e la natura divina in Cristo sono due nature perfette, indivisibili ma nello stesso tempo inconfondibili.
La divinità, pertanto poteva essere rappresentabile perché il Figlio di Dio, Dio lui stesso, ha assunto un corpo come il nostro si è reso visibile e conseguentemente la materia acquisiva una grande dignità. Favorendo l’arte iconica la Chiesa trasmetteva, così, la convinzione che la fede nasce non solo dall’ascolto della Parola di Dio, ma anche dalla valorizzazione degli altri sensi, in particolare la vista. Le immagine assumono, dunque, lo stesso valore del Vangelo e della Liturgia a cui il fedele partecipa in chiesa.
Le immagini, in altre parole, diventano quasi una via alla conoscenza di Dio, un punto d’incontro tra l’uomo e Dio, un mezzo per l’uomo di elevarsi fino a Dio e un modo per l’uomo di cercare il contatto con il divino anche attraverso l’esperienza sensoriale.
Per queste ragioni, quando gli iconoclasti dell’VIII e IX secolo hanno tentato di distruggere le immagini sacre e l’arte religiosa, la Chiesa si è opposta con forza a questa eresia.
A differenza del cattolicesimo, l’Islam e l’ebraismo, invece giudicano blasfemo l’atto del plasmare o dipingere un’effige di Dio. Per questo l’Islam e l’Ebraismo restano aniconici tutt’oggi, al pari del protestantesimo che per sopperire alla mancanza di immagini visive ha sviluppato in modo egemonico il culto della Parola. E’ sufficiente pensare alla differenza, in pittura, tra le Fiandre cattoliche di Rubens, Van Dick e l’Olanda protestante del XVII sec.
LA CARATTERISTICA DELL’IMMAGINE SACRA: LA BELLEZZA
L’immagine sacra – che raffigura Cristo, la Vergine Maria e i santi – deve essere degna di loro. In altre parole, deve essere bella. Perché? Perché la Bellezza, secondo quanto insegna Platone, è l’equivalente del Bene. La Bellezza è, dunque, indispensabile per rappresentare il Bene supremo, che è Dio. La Bellezza diviene, dunque, una via verso il Trascendente, verso il Mistero ultimo dell’esistenza umana, Dio.
Attraverso la bellezza viene comunicata all’uomo una scossa che lo risveglia, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano e gli apre nuovamente gli occhi del cuore e della mente. Il Vescovo di Costantinopoli, Fozio, in occasione della consacrazione di una chiesa, dopo avere confrontato l’Antico e il Nuovo Testamento, proclamò il secondo superiore al primo non perché contenesse la verità mentre, secondo la mentalità del tempo, l’altro ne era solo l’ombra, ma a causa dell’incomparabile bellezza dell’arte della Chiesa, che innalzava a Dio.
E’ facile immaginare quale fosse la responsabilità degli artisti e il loro impegno per elevarsi al livello di tali esigenze. Si tratta di una sfida che ha trovato la sua risposta nell’incontro tra fede e ragione, intese come due mondi non contrapposti, inconciliabili, ma distinti e armonicamente vicini. Per avere una testimonianza di quanto sia feconda l’alleanza tra fede e ragione è sufficiente entrare in una delle tante cattedrali romaniche e gotiche di cui è disseminata l’Europa.
In esse si trova una mirabile sintesi tra realtà sociale, abilità tecnica e fede, che si uniscono insieme per raggiungere una finalità culturale e religiosa. E’ possibile comprendere meglio questo discorso se ricordiamo il testo dell’iscrizione incisa sul portale centrale della cattedrale di Saint-Denis, a Parigi: Passante, che vuoi lodare la bellezza di queste porte, non lasciarti abbagliare né dall’oro, né dalla magnificenza, ma piuttosto dal faticoso lavoro. Qui brilla un’opera famosa, ma voglia il cielo che quest’opera famosa che brilla faccia risplendere gli spiriti, affinchè con le verità luminose s’incamminino verso la vera luce, dove il Cristo è la vera porta.
Queste parole affermano chiaramente che le arti: pittura, architettura, musica…hanno la missione di rendere capace l’uomo di vedere la luce del divino, così come è accaduto agli apostoli nell’episodio evangelico della Trasfigurazione dove sono stati resi testimoni della luce divina che promanava dalla umanità di Cristo.
Qualche esempio per spiegare questa affermazione.
San Giovanni Damasceno esprime questo concetto in maniera molto semplice: Vidi l’immagine di Dio e la mia anima fu salva.
L’ordine dei sacerdoti teatini aveva ed ha questo motto: Sia povera la cella, sobrio il vitto, ma ricca la chiesa. Per quale motivo? Perché il culto dovuto a Dio non toglie nulla ai fedeli, ma al contrario li eleva dalla fatica della vita quotidiana. L’arte, la liturgia sono un’anticipazione del Paradiso. Pertanto le chiese non possono riprodurre la stessa ordinarietà o le stesse brutture della vita quotidiana. Diversamente come potrebbero elevare la nostra anima?
Lo ha ben compreso san Carlo Borromeo che ha venduto tutte le ricchezze di famiglia per i poveri e viveva in povertà, ma celebrava con paramenti di straordinaria bellezza e ricchezza.
Lo sapeva san Giuseppe Cafasso, il prete dei poveri e dei carcerati che a quanti imputavano alla Chiesa la “colpa” di arricchire gli edifici di culto rispondeva: Siamo tanto materiali che abbiamo bisogno di queste esteriorità per pregare bene, sì che ne sentiamo l’effetto anche senza volerlo.
Goethe. Era un protestante ferocemente avverso al Cattolicesimo. Tuttavia nel Viaggio in Italia, racconta della bellezza indicibile del Miserere di Allegri e degli Improperi del Venerdì Santo. Scrive: Nelle funzioni papali, segnatamente nella Cappella Sistina, tutto ciò che nei riti cattolici riesce di solito urtante avviene in una cornice di straordinario bon gusto e di perfetta dignità; e così può essere solo lì, dove da secoli le arti stanno a disposizione (Viaggio in Italia, I Meridiani, Mondadori 1983, 593). Poco prima aveva descritto in maniera canzonatoria il papa e la chiesa di Roma, ma le arti e la liturgia lo estasiarono.
Se in Goethe l’arte liturgica ha innescato solo un’esaltazione estetizzante, in Newman l’ammirazione per le chiese italiane ha determinato la sua conversione.
L’arte e la musica sacra possono convertire anche oggi. San Giuseppe Cafasso diceva: Il canto ben eseguito rapisce l’anima e eccita alla devozione; mentre in caso contrario fa scappare di chiesa.
La Chiesa ha sempre favorito l’arte ed in particolare l’arte sacra perché in essa vedeva uno strumento per suscitare l’amore a Dio, per facilitare la preghiera, per fare conoscere i contenuti della fede. Pensiamo solo, a questo riguardo, agli affreschi e ai portali marmorei delle cattedrali romaniche e gotiche.
Un artista che ha testimoniato sempre l’incontro tra estetica e fede, Marc Chagall (pittore russo, di religione ebraica, 1887-1985), ha scritto che “i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che era la Bibbia”.
In conclusione i capolavori artistici nati in Europa nei secoli passati sono incomprensibili se non si tiene conto dell’anima religiosa che li ha ispirati.

LA VERGINE DELLE ROCCE DI LEONARDO
“Io sono l’Immacolata Concezione”, anzi, in guascone, “Qué soy ér Immaculado Councepcion”.

Così la Vergine Maria si presentò quando la piccola Bernadette chiese di svelare la propria identità alla bellissima Signora, vestita di bianco, che dall’11 febbraio di quell’anno, il 1858, era ripetutamente apparsa al suo cospetto. Dunque, esattamente quatto anni dopo la proclamazione, da parte di Pio IX , nel 1854, del più onorifico dogma mariano – che tanto scalpore aveva suscitato, e non solo in ambienti laici, nel clima di positivismo scettico di quegli anni – l’umanità tutta venne confermata nella fede da quelle poche parole pronunciate a Lourdes.

Questo fu il dopo. E prima?
Fin dal Medioevo, infatti, Maria era stata considerata l’unico luogo perfetto dove il Figlio di Dio aveva potuto farsi carne perché la Vergine era stata preservata dal peccato originale. Chi ne offre una stupenda interpretazione è Leonardo da Vinci.

Milano, 1482. Leonardo da Vinci arriva nella città, anzi, nel ducato di Ludovico il Moro e la prima commissione che riceve, un anno dopo, in veste di artista, è la pala d’altare per la cappella della laica confraternita dell’Immacolata Concezione nella chiesa di San Francesco Grande, oggi andata distrutta (la chiesa, non la pala, che invece, per vicende ancora da chiarire, raggiunse Parigi e il Louvre, tuttora suo orgoglioso custode).

Il contratto richiedeva un trittico che avrebbe dovuto rappresentare la Madonna e il Bambino, il Padre Eterno, angeli e profeti. L’immagine che Leonardo maturò fu, infine, diversa e la sua Vergine delle Rocce, che replicò qualche anno dopo su di una tavola ora a Londra, fu associata, successivamente, dagli studiosi all’idea dell’Immacolata Concezione.

Maria è qui inquadrata al centro di un antro, particolarmente ricco di vegetazione, che rivela la passione di Leonardo per la botanica. In lontananza s’intravvede un corso d’acqua: siamo di fronte ad una grotta nelle viscere della natura. Nel Cantico dei Cantici, lo sposo, che è Dio, paragona la sua sposa a una colomba nascosta nelle fenditure delle rocce e fa di lei una donna nata nel cuore del creato, predestinata a un compito importante: nel caso di Maria quello di diventare la Madre di Dio.

Accanto a Lei, rispettivamente alla Sua destra e alla Sua sinistra, ci sono san Giovannino e Gesù Bambino benedicente. Giovanni, si sa, è il precursore di Cristo, in tutto, anche nella morte. E, infatti, Maria, da madre, cerca di trattenerlo, con le Sue dita lunghe e affusolate, affinché non possa predire al Figlio il destino che Lo attende, di vittima sacrificale.  Di più, cerca di proteggere il Suo Bambino stendendo l’altra mano. La volontà di Dio, però, è più forte e un angelo s’interpone tra la testa del Figlio e il braccio teso della Vergine, intercettando con un sorriso l’attenzione di noi fedeli, invitati a partecipare alla scena.

Una madre qualsiasi non avrebbe mai accettato di offrire in dono il frutto del Suo seno. Maria si, lo può fare. Lei è, infatti, l’Immacolata, ovvero l’unica creatura concepita senza peccato.
A Lourdes, quell’11 febbraio di centosessant’anni fa, Bernadette ne ebbe la definitiva conferma.
+ Francesco Cavina