Omelia nella Cena del Signore

Cattedrale ' giovedì Santo 13 aprile 2006 ' ore 19
13-04-2006

‘  Con questa solenne celebrazione vespertina, inizia il Triduo Pasquale . Si dilata per tre giorni, ma è un solo grande mistero che celebriamo e riviviamo. E’ il mistero dell’amore del Signore Gesù che realizza il disegno di amore del Padre, con la forza dello Spirito Santo. È il mistero che diventa il cuore dell’anno cristiano, perché gli avvenimenti rivissuti in questi tre giorni , costituiscono il cuore di tutta la storia. ‘ E’ la Pasqua del Signore!’ (Es 12,11), è il passaggio di Dio che libera il suo popolo oppresso e avvilito dalla schiavitù di Egitto, è il passaggio di Cristo che ci salva e che trasforma questa nostra umanità oppressa e avvilita.

‘  Cominciamo il Triduo Pasquale con un banchetto. Questa messa porta nei libri liturgici l’antica denominazione: ‘in cena Domini’. E’ la Messa ‘nella cena del Signore’ . Da un banchetto appunto il nostro Salvatore ha voluto iniziare l’azione decisiva della nostra redenzione. C’è qui il positivo riconoscimento di una realtà consueta e preziosa, com’è, nella vita umana, una tavola imbandita! Un gruppo di persone, che si radunano attorno a una mensa, esprimono sempre, almeno implicitamente, una volontà di comunione, un desiderio di sincera amicizia, una ricerca di serenità e di concordia. Il cibo e la bevanda presi insieme sono sempre stati per gli uomini segno di intesa sociale, garanzia di solidarietà, testimonianza di pace. Quando arriva l’ora della sua Pasqua, l’ora cioè di passare, per la nostra redenzione da questo mondo al Padre, Gesù sceglie questo segno del banchetto, significativo e umano, e lo carica di una grazia inaudita. Il suo banchetto non è più solo un segno, diventa un segno efficace, cioè, un sacramento.

‘  Così nasce l’Eucaristia, tesoro divino che viene per sempre posto nelle mani dell’uomo. Ci è data come dono di un amore che arriva al massimo dell’intensità (‘li amò sino alla fine’, ci ha detto san Giovanni, Gv 13,1 ). Ci è data perché significhi e operi la vita di incorporazione che fa di noi una sola cosa con Cristo; perché significhi e operi nel mondo il prodigio inesauribile della Chiesa. E nell’Eucaristia la realtà umile e quotidiana del banchetto acquista anche un valore ultraterreno e ultratemporale, perché diventa figura e anticipazione del Regno dei cieli. Noi siamo esortati a compiere senza interruzione il banchetto eucaristico ‘ fino a che egli venga ‘, come ci ha detto san Paolo (1 Cor 11,26); cioè fino a che la seconda venuta di Cristo alla fine dei secoli farà sfociare la storia oscura degli uomini nella gioia luminosa della eternità di Dio e trasformerà i nostri segni sacramentali nella visione chiara e gioiosa di Dio e del suo Cristo.

‘  La sera del dono dell’Eucaristia, il più grande dono d’amore, è però anche la sera del tradimento . Non riusciremo a cogliere tutto lo spessore del Giovedì Santo, se ci dimenticassimo di quest’ombra inspiegabile e tragica che incombe sull’ultima cena del Signore. L’Evangelista Giovanni ce lo ricorda senza attenuazioni, dicendo che ‘mentre cenavano’, ‘già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo’ (cfr. Gv 13,2) . Anche san Paolo nel suo racconto annota con cura che il grande regalo dell’Eucaristia è stato fatto da Gesù proprio ‘nella notte in cui venne tradito’ (1 Cor 11,23) . E’ una vicenda drammatica, che ci costringe a rievocare, insieme con la generosità del Signore, la tremenda possibilità dell’uomo di rifiutare il suo creatore.

‘  Originariamente la parola ‘tradire’ vuol dire ‘consegnare’. Gesù si è lasciato consegnare ai suoi nemici, e ha voluto così patire, tra tutte le sofferenze, anche quella amara e pungente dell’ingratitudine e del tradimento, inspiegabile risposta dell’uomo alla sua iniziativa d’amore. Dobbiamo sempre temere di noi stessi , e, se pur ci pare di voler bene al Signore, non dobbiamo mai tralasciare di pregare con trepidazione perché ci sia concesso sino alla fine dei nostri giorni la grazia della perseveranza e di un cuore riconoscente. Ma nello stesso momento in cui veniva consegnato ai suoi nemici, Gesù si consegnava anche ai suoi amici, si consegnava anche a noi, per rafforzarci nell’adesione e nella comunione con Lui. E, nonostante la nostra debolezza e la nostra fragilità, nonostante la nostra pericolosa volubilità, noi siamo, restiamo e vogliamo per sempre rimanere di Cristo, come Cristo è di Dio: così ci dice il cibo eucaristico di cui ci nutriamo: ‘Il Corpo di Cristo ci custodisca per la vita eterna’. Anche se grande e sempre possibile è la nostra propensione a smarrirci, a intristirci, a dubitare, l’Eucaristia ci assicura che le pecore del gregge del Signore , in forza di questo cibo di salvezza che custodisce per la vita eterna e per l’assidua presenza del Pastore che ha dato la sua vita per noi, in maniera efficace, ‘non andranno mai perdute’ e ‘nessuno le rapirà dalle sue mani ( cfr. Gv 10,28).

‘  Quella sera dell’ultima cena a Gerusalemme, nello stesso cenacolo, alla stessa mensa si contrapposero l’amore di Dio e il tradimento dell’uomo. Ma vinse l’amore di Dio, così ci insegna l’Eucaristia. Nell’Eucaristia Dio si è così avvicinato all’uomo, che da allora nessuno deve sentirsi solo e abbandonato di fronte alle forze del male. Mai come nel Giovedì Santo abbiamo la confortante sicurezza che il Signore è davvero con noi.

 

+ Elio Tinti, Vescovo