Omelia nella Santa Messa Crismale

Mercoledì 23 marzo 2016, ore 21.00
25-03-2016
Carissimi fratelli e sorelle,
        Siamo riuniti insieme a celebrare la Santa Messa Crismale che ci porta a riflettere sul sacerdozio, come ci è stato ricordato nella prima lettura: “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore; ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61.6).
        L’urgenza di questa riflessione si fa viva e commossa specialmente per la presenza dei confratelli che quest’anno celebrano i sessanta, don Claudio Caleffi, e i cinquanta, don William Ballerini e don Ivano Zanoni, anni di un lungo e gioioso servizio sacerdotale, di cui siamo tutti profondamente grati.
        Oggi Gesù nella Sinagoga di Nazareth inaugura il suo ministero pubblico applicando a sé un testo del profeta Isaia nel quale viene annunciato l’anno di grazia del Signore. Questo anno di grazia si identifica con l’Anno del Giubileo, che, nel suo significato più vero e profondo, è il tempo del “ricominciamento”, è l’occasione che Dio offre all’uomo di ritrovare la sua vocazione originaria di figlio di Dio che aveva rinnegata a causa del peccato.
        La conversione, cioè il ritorno dell’uomo a Dio, non è, dunque, il frutto dell’intelligenza, della intraprendenza, dell’iniziativa umana, ma trova la sua origine nella libera iniziativa di Dio ed è motivata dal suo amore infinito e salvifico. Pertanto, alla luce di questo testo profetico, la presenza del Figlio di Dio in mezzo a noi appare chiaramente come atto di misericordia posto in essere da Dio che non si rassegna a perdere l’uomo.       
        Gesù può riprendere in mano la storia personale di ciascuno e quella dell’umanità perché, come egli stesso proclama: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione. Cioè l’uomo Gesù di Nazareth e quindi la sua carne, la sua storia, le sue parole portano la presenza di Dio e dunque il suo Spirito e la sua forza.
        Ripieno dello Spirito, Cristo riceve la missione di beneficare, di risanare, di liberare dai vincoli dell’ingiustizia, del peccato e della morte. In tal modo riapre all’uomo la possibilità di vivere in comunione con Dio e di riscoprire il valore sacro della vita, fondamento di ogni società.
        Si tratta di eventi che accadranno non chissà quando, ma Oggi si è adempiuta questa Scrittura nei vostri orecchi. Anche per noi oggi si compie la Parola del Signore! Se ci apriamo al Signore la vita di ciascuno è toccata dalla sovranità di Dio, e avviene un miracolo: i sentimenti che proviamo, i progetti che abbiamo in animo di porre in essere, le azioni che compiamo possono conformarsi alla volontà del Signore e alle esigenze del Suo regno e la nostra vita può rendere gloria al Signore.      
        Cari fratelli nel sacerdozio e nel diaconato quello che Isaia predice di Cristo e in Lui si compie in modo unico e totale, questa sera è ridetto, in modo particolare, a noi e si realizza anche in noi, seppure in modo partecipato.
        In quanto sacerdoti, dunque, abbiamo una sola carta d’identità, un solo “potere”: essere con tutto il nostro amore, servi di Cristo, Parola vivente di Dio e sacramento del Padre e servi del Popolo di Dio che ci è stato affidato, non importa dove. La consapevolezza del suo amore di elezione per noi, e non altro, deve costituire il tessuto di fondo della nostra esistenza, la ragione d’essere del nostro patire, gioire e vivere.
        Che il Signore, allora, sia il Signore nella nostra vita!
        Che Gesù sia il tutto del nostro pensare, faticare, sperare, amare!
        Il rapporto vitale con Cristo esige da noi una spiritualità seria, profonda, impegnata. Non possiamo essere semplicemente i ministri del culto, ma siamo chiamati ad essere gli uomini della preghiera.
        Nella concezione cristiana della storia i grandi “avvenimenti” che misteriosamente la muovono verso il suo compimento, non sono determinati dal progresso tecnico e scientifico, che pure rappresenta una ricchezza, ma dai gesti sacri e santificanti, i “magnalia Dei”, che si rinnovano nei Sacramenti e che, quindi, vanno celebrati con dignità e convinzione e non nella loro automatica e quasi impersonale amministrazione.
        E’ per noi che soprattutto vanno ben celebrati perché in essi ritroviamo l’essenza del nostro sacerdozio, il culmine del nostro ministero, l’alimento più vero e più solido alla nostra stessa vita spirituale.
        Senza questa dimensione interiore la nostra attività si trasforma in un attivismo sterile e inquieto che mette in crisi, “in noi e negli altri, la stima del nostro sacerdozio, degradandolo ad una desolata ed ambigua funzione sociale” (Enrico Bartoletti).
         Ma è bene che ci ricordiamo anche che si serve Cristo solo se si serve la Chiesa, suo corpo vivente e dolorante, che lo completa e lo manifesta nella storia e nel mondo. In tante occasioni il Papa ha alzato la sua voce contro coloro che oggi crocifiggono la Chiesa.
        Possiamo noi ritenerci immuni da questa responsabilità di crocifissione?
        Le nostre mediocrità spirituali, le nostre chiusure, le nostre sordità alla voce del Vangelo, le nostre divisioni, i nostri individualismi, i nostri cedimenti allo spirito del mondo…, non sono forse pietre che si lanciano contro la Chiesa?
        Cari fratelli e sorelle stiamo vivendo un periodo della storia dell’umanità nella quale si nega la presenza di Dio nel mondo, che ci ha voluto “per una sovrabbondanza di grazia e per un miracolo”. Se ci viene meno il coraggio di questo annuncio forte non c’è redenzione, perché tolto Dio tutto è possibile.
        Insieme, sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici chiediamo al Signore che rinnovi la nostra speranza, ravvivi il nostro impegno ad amarlo con cuore indiviso e totale, ci renda disponibili a vivere nella carità fraterna fra noi e nel costante servizio e di esempio a tutti i fratelli. Solo così potremo invitare gli uomini a guardare il cielo per essere salvati sulla terra.
        Chiediamo al Signore che sia questo il rinnovato programma della nostra umile, ma gioiosa vita cristiana e sacerdotale.
 
+ Francesco Cavina