20 maggio Omelia Mons. Manicardi

SOLENNITÀ DI SAN BERNARDINO DA SIENA PATRONO DELLA CITTÀ E DIOCESI DI CARPI * 2020

Cattedrale di Carpi –  Mercoledì 20 maggio 2020

Omelia di mons. Ermenegildo Manicardi

Diretta televisiva Tvqui

 

Sorelle e Fratelli carissimi,

bentornati alla celebrazione eucaristica in presenza anche fisica, come abbiamo tanto a lungo atteso, e buona solennità del nostro Patrono cittadino e diocesano.

La storia della devozione carpigiana al Patrono e il nome di Gesù

In certo senso la storia della devozione carpigiana al Patrono San Bernardino da Siena è ancora più importante, nella vita di tutti noi, della storia biografica del Santo.

Quando, all’inizio della quinta elementare, arrivai da Fossoli a Carpi e inizia a fare il chierichetto in questa cattedrale, mi stupirono soprattutto due cose che sono connesse con il nostro Patrono. Mi colpiva la “selva” delle statue dei santi sulla facciata della Cattedrale, dove – nell’ordine più alto – c’era anche la sua rappresentazione. Il secondo aspetto paesaggistico che mi interessò è che in moltissime case di Carpi, accanto all’ingresso e alle porte, c’era quasi sempre il trigramma bernardiniano. Allora veniva inteso come l’acrostico, ossia la sintesi di Jesus Hominum Salvator. Oggi si pensa che si tratti piuttosto della prima metà del nome di Gesù e che, quindi, sia da leggersi Ies inteso come abbreviazione di Iesus, Gesù.

Il nostro Patrono scelse di dipingere tavolette in cui l’abbreviato nome di Gesù veniva iscritto all’interno di un sole sfolgorante, che, con i suoi dodici raggi, illumina il modo intero. Il successo e la diffusione dell’immagine, che durarono per tanti secoli, furono tali che Bernardino si guadagnò il titolo di protettore dei pubblicitari. Al termine delle sue prediche, – commoventi e travolgenti, nonché piuttosto lunghe: si parla, infatti, anche di tre ore! –, il Santo presentava ai fedeli una elegante tavoletta con dipinto il nome di Gesù da baciare per mostrare che avevano capito.

L’eredità più grande, però, che il toscano Bernardino lasciò nella nostra città fu la foratura di un pozzo, di un rivo di santità, che non si è ancora disseccato ed estinto. Un secolo dopo di lui, infatti, da una giovane donna dei Bellentani, ossia da una discendente della famiglia che un secolo prima aveva ospitato il predicatore francescano nel suo passaggio dalla nostra città, nacque a Carpi San Bernardino Realino che, non solo portò nel suo nome l’imperituro ricordo dell’antico ospite, ma divenne uno dei Gesuiti della prima generazione. Non a caso il trigramma di Bernardino da Siena, nel frattempo, era divenuto lo stemma dei Gesuiti. Ancora oggi esso compare in Corso Fanti 44, sul portone del nostro seminario, nato come Collegio del Gesuiti, sognato dal Realino in tutti i suoi lunghi quarant’anni leccesi. Nella festa patronale di oggi è bello vedere che la gloria del nome di Gesù, che Bernardino riuscì a far risplendere nella nostra città e nell’entusiasmo dei cuori, si è mantenuto nei secoli ed è giunto fino al bagliore del martirio del Beato Odoardo Focherini, ormai settantacinque anni fa.

Oggi tocca a noi chiedere che i raggi del nome di Gesù, impressi nel nostro cuore dallo Spirito Santo, ci trasformino in quella luce del mondo e in quel sale della terra, di cui parlava Gesù. Tocca a noi diventare oggi quel vangelo vissuto di cui la cultura contemporanea e la nostra vita hanno estremo bisogno.

Battezzati nel nome di Gesù

Nei primi giorni del cristianesimo, la potenza del nome di Gesù si vide soprattutto nei prodigi per i poveri e i malati e nell’amministrazione del battesimo. La formula usata ora è «io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», ma sappiamo che fin all’inizio si battezzava «nel nome di Gesù».

Allo storpio mendicante nel tempio, infatti, Pietro promette: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!» (At 3,6). E dopo la guarigione spiegherà al popolo: «per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete» (At 3,16). Come abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi, l’Apostolo Pietro potrà lanciare anche questa sfida chiarissima: «sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato» (At 4,10).

Il nome di Gesù è capace di guarirci dalle malattie, ma risana anche dal peccato. Nel giorno di Pentecoste Pietro aveva esortato la folla di Gerusalemme: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo» (At 2,38).

Oggi ci rallegriamo che due nostre sorelle ricevano in questa liturgia il dono del battesimo e dell’iniziazione cristiana. Si tratta di Micòl e Valbòna, che entrano a far parte della comunità dei discepoli di Carpi. Questa sera, poi, sarà battezzata la piccola Teresa, una bambina nata in questa città il 21 febbraio, giorno di inizio della pandemia secondo l’identificazione del paziente zero. Questi tre battesimi sono il segno tangibile che la nostra comunità vuole riprendersi e iniziare una nuova vita, anche cristiana, dopo i giorni pesanti e cupi della pandemia.

L’anniversario del terremoto

Oggi è anche l’ottavo anniversario delle prime grandi scosse di terremoto del 20 maggio 2012, che furono poi seguite da quelle di nove giorni dopo, che uccisero anche Don Ivan Martini, il parroco di Rovereto, di origine cremonese, che era giunto come fidei donum nel 1980. Ancora vogliamo suffragare quanti allora morirono. Ricordare, però, quei giorni in questa cattedrale così felicemente rinnovata, è un forte stimolo alla speranza. Siamo usciti bene dalle macerie e dal lutto delle scosse di terremoto, anche se allora una ripresa degna sembrava un improponibile miraggio. Si dice che ormai sia ricostruito l’80% del patrimonio perduto allora, anche se le nostre parrocchie rimangono ancora le vittime eccellenti del restante 20%. Si è partiti delle case e dalle fabbriche: le chiese rimasero in coda, speriamo che adesso non siano dimenticate. Però, anche se non tutto è stato ancora ricostruito, abbiamo ormai la prova che risorgere è possibile, così come entrare con coraggio in strutture nuove. Dobbiamo andare con fiducia verso le condizioni di vita che segnano la fase due del corona virus, anche se la paura e la stanchezza per le difficoltà tentano di fiaccarci. E questo vale soprattutto per chi era già fragile.

L’esperienza del terremoto ci ha insegnato che ci vorrà molto tempo, che si dovranno superare diatribe, sospetti, tensioni e rivalità per la diversità di visioni e prospettive, ma la sfida per tutti noi è animare la speranza. Le distruzioni possono aprire la strada a nuovi spazi di vita, se si riesce a trovare l’atteggiamento giusto. Speranza non è essere facili ottimisti, ma sapere e credere che l’impegno e la generosità possono produrre frutti importantissimi e insperati.

La preghiera nel nome di Gesù: il nome nel cuore

Nell’ultima cena Gesù ci ha lasciato una parola testamentaria molto consolante e impegnativa: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). «Le opere che io compio e ne compirà di più grandi»: secondo questa promessa noi possiamo fare cose addirittura più grandi di Gesù. Non è un paradosso retorico o un’utopia irresponsabile; Gesù pensa davvero che i suoi discepoli possono fare di più di quanto lui stesso ha realizzato perché essi godono della forza che viene dalla sua glorificazione. Egli ci dice: il mio discepolo compirà opere più grandi delle mie «perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Usando l’amore di Gesù per noi, noi possiamo davvero fare meraviglie anche in questo futuro tempo difficile.

Per attivare la forza dell’amore pasquale Gesù stesso ci consiglia di ricorrere al suo nome: «Qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò» (Gv 14,13s).

Spinti da San Bernardino, i nostri antenati misero il nome di Gesù agli stipiti delle coloro case e invocarono come Patrono il predicatore che li aveva affascinati. Noi, anche se le nostre case non hanno molto spesso il trigramma bernardiniano, possiamo chiedere di avere nel cuore la tavoletta del nome di Gesù. è questa la tavoletta indispensabile.

 

Ripetiamo perciò, con schiettezza e personalizzazione, la preghiera colletta, con cui abbiamo aperto la celebrazione del nostro Santo e diciamo:

 

«O Dio, che hai donato al tuo sacerdote San Bernardino da Siena

un singolare amore per il Nome di Gesù,

imprimi anche nei nostri cuori, con il fuoco dello Spirito,

questo sigillo della tua carità».          Amen.