Da SIR Agenzia d’informazione –>
La fotografia di Enrico Genovesi, il cinema e lo spettacolo per raccontare Nomadelfia oggi. Così Carpi e Mirandola riscoprono le radici della profezia di don Zeno Saltini. Il 23 giugno e l’8 luglio due serate a Mirandola hanno visto protagonisti i linguaggi della fotografia e del cinema, che fin dagli inizi hanno accompagnato in modo anticipatorio rispetto ai tempi la vicenda umana ed
foto SIR/Marco Calvarese
ecclesiale di don Zeno Saltini e dell’opera da lui fondata, i Piccoli Apostoli prima e Nomadelfia poi.
Dopo due anni di sosta a causa della pandemia riprenderanno le grandi Serate di Nomadelfia nei luoghi di villeggiatura come forma di annuncio e apostolato. Le date programmate riguardano solo la riviera toscana (qui il programma completo) con un’unica eccezione a Carpi sabato 23 luglio presso la parrocchia di Quartirolo di Carpi. Per continuare questa storia di amicizia e fraternità tra Nomadelfia e la terra da cui ha avuto origine.
Il 23 giugno e l’8 luglio due serate a Mirandola hanno visto protagonisti i linguaggi della fotografia e del cinema, che fin dagli inizi hanno accompagnato in modo anticipatorio rispetto ai tempi la vicenda umana ed ecclesiale di don Zeno Saltini e dell’opera da lui fondata, i Piccoli Apostoli prima e Nomadelfia poi.
“Nomadelfia: profezia di giustizia e di fraternità” è il progetto promosso dalla diocesi di Carpi, dalla Fondazione Fossoli e dalla stessa comunità di Nomadelfia.
Straordinaria l’esperienza di Enrico Genovesi, fotografo di fama internazionale molto attento ai temi sociali, intervenuto a Mirandola il 23 giugno insieme al critico fotografico Silvano Bicocchi e al presidente di Nomadelfia Giancarlo.
Un reportage durato circa quattro anni, fatto di incontri, di soste e di immersione nella vita della comunità culminato nel volume “Nomadelfia. Un’oasi di fraternità” che Genovesi ha dato alle stampe alla fine dello scorso anno.
Un’opera che rappresenta una modalità nuova di esprimere la vita di questa particolare esperienza di vangelo vissuto, sia da un punto di vista dell’elevato valore artistico di ogni immagine sia come proposta di contenuti di una realtà quotidiana capace di esprimere i valori profondi che stanno alla base della convivenza di questo “popolo nuovo”.
Ancora di più si può considerare l’opera di Genovesi su Nomadelfia come una modalità di informazione, secondo quanto sostiene Giovanna Calvenzi nel suo contributo che arricchisce il volume fotografico perché “utilizza un linguaggio visivo che sa far dialogare due dei suoi mandati genetici: fare informazione, fare arte”.
La presenza di Giancarlo ha aiutato a comprendere la realtà di Nomadelfia oggi, dalla scelta vocazionale di ogni membro, infatti non si rimane nella comunità per appartenenza familiare ma scelta maturata da adulti, alle regole che ne scandiscono la quotidianità che solo persone veramente libere possono accettare, con umane resistenze ma sempre accolte con la consapevolezza del valore più grande che esse richiamano: la legge della fraternità.
“Con leggerezza ma capace di trasmettere emozioni forti e profonde”. Si potrebbero sintetizzare con queste parole del regista Gianluigi Calderone sia lo speciale docufilm proiettato, sia la serata nel suo insieme, che ha visto come protagonisti don Zeno e Nomadelfia visti attraverso il cinema e che si è svolta il venerdì 8 luglio a Mirandola.
E’ stato Francesco, archivista e memoria storica della comunità, a tracciare con la consueta precisione le tappe di questa particolare passione che aveva conquistato don Zeno Saltini fin dalla sua giovinezza, ancora prima di diventare sacerdote, anche se la scintilla viene fatta coincidere con l’avvio del cinema nella parrocchia di San Giacomo, dove nei primi anni ’30 era cappellano.
Dal cinema della frazione mirandolese, capace di attirare migliaia di persone, l’esperienza di diffuse in chiave pastorale, come strumento di animazione delle parrocchie, fino ad arrivare ad una rete di sedici sale cinematografiche gestite da don Zeno e dai suoi collaboratori.
“L’obiettivo di don Zeno era duplice – ha spiegato Francesco – da un lato utilizzare uno strumento capace di attirare le persone in parrocchia e avere la possibilità di parlare a tutti attraverso ‘il varietà’ ovvero i suoi discorsi al popolo nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo. L’altro molto più ambizioso era quello di dare vita ad un centro di produzione cinematografica, nella convinzione che anche la Chiesa doveva buttarsi in questa opera di evangelizzazione per arginare l’avvento del cinema profano”.
L’archivio di Nomadelfia è costituito da un patrimonio documentale enorme, “chilometri di pellicole” con i quali si è dovuto misurare il regista Gianluigi Calderone, appena ricevuto l’incarico di realizzare la fiction per la Rai su don Zeno e Nomadelfia nel 2007. “Mi presentai in incognito alla comunità, non li conoscevo – ha raccontato Calderone – temevo di non essere accettato visto il lavoro di indagine che avrei dovuto approfondire sul loro fondatore, sulla loro storia e invece è nato un rapporto bellissimo, tutti si sono coinvolti con entusiasmo nel progetto e hanno partecipato in gran numero alle riprese del film”.
Per motivi di tempo non è stato possibile proiettare la versione integrale della fiction, trasmessa dalla Rai nel 2008 in due puntate, ma Calderone e i Nomadelfi hanno presentato un documento pressoché inedito, trasmesso da RaiTre una sola volta, che in 45 minuti ha tracciato con immagini e parole fortissime la storia di Nomadelfia.
“E’ un documentario originale – ha spiegato Calderone che ne ha curato la regia – perché assembla tre linguaggi cinematografici diversi: il primo è quello dei filmati originali dell’archivio di Nomadelfia, le parole di don Zeno e degli altri protagonisti, il secondo è quello delle riprese della fiction che hanno realizzato i Nomadelfi e infine ci sono alcuni passaggi della fiction con tutte le note e i limiti tipici di questo prodotto cinematografico”.
Il prodotto finale è davvero qualcosa di unico, capace di fondere insieme la storia, le testimonianze, i drammi e le speranze che hanno accompagnato la vita di questa realtà “rivoluzionaria” come la chiamava don Zeno, per la Chiesa e per il mondo. Passaggi di pura commozione che si alternano alla narrazione storica e alla descrizione del contesto di povertà e abbandono che ha fatto scattare la scelta radicale di don Zeno di vivere secondo il Vangelo.