“I migranti? Va difeso anche il diritto di stare nel proprio paese in pace”

Intervista con monsignor Francesco Cavina, che parla di immigrazione, famiglia, caso Alfie e ricostruzione post terremoto

da www.lastampa.it DOMENICO AGASSO
 
«La comunità internazionale è chiamata a collaborare al progresso» e favorire la sicurezza «in tutti i paesi», in particolare in quelli da cui le persone fuggono. Gli immigrati vanno accolti, e va anche tutelato il loro diritto «di restare nel proprio Stato in dignità» e pace. Lo afferma monsignor Francesco Cavina, vescovo di Carpi, che in un’intervista a Vatican Insider parla anche di famiglia, caso Alfie e ricostruzione dopo il terremoto del 2012. 
 
Che cosa pensa della vicenda della nave Aquarius e della questione migranti in Italia?  
«I migranti non sono numeri, ma persone e in quanto tali vanno soccorse, accolte e coloro che fuggono da guerre e violenze aiutati a integrarsi nel nuovo contesto culturale di accoglienza. Il fenomeno delle migrazioni, tuttavia, come ha ricordato anche il Papa, richiede l’attenzione “di tutta la comunità internazionale” in quanto “supera le possibilità e i mezzi di molti Stati”. Pertanto, come ha chiosato il cardinale Segretario di Stato a margine del colloquio Santa Sede-Messico sulla migrazione internazionale: “L’importante è che ci sia una risposta comune a questo problema, che l’Italia non sia lasciata sola ad affrontare il problema dell’immigrazione”. È necessario, inoltre, guardare il problema anche dall’ottica dei diritti delle persone a non emigrare. Ogni persona, in altre parole, ha il diritto primario di rimanere nel proprio paese in condizione di sicurezza e dignità. È, quindi, compito della comunità internazionale collaborare al progresso e favorire la pace in tutti i paesi. Molti vescovi africani, nei cui paesi non ci sono condizioni di vita di povertà estrema o guerra, denunciano un impoverimento della società a causa della partenza indiscriminata di persone».   
 
Lei è stato un protagonista dell’impegno della Chiesa per il piccolo Alfie: quali segni ha lasciato quella vicenda?   
«Come ho dichiarato tante volte la vicenda del piccolo Alfie ha scosso l’opinione pubblica e ha portato tante persone, credenti e non, a interrogarsi sul valore della vita, sul senso della sofferenza e a chi compete stabilire chi deve vivere e chi deve morire. In molti si sono sollevati per rifiutare una visione “cosificata” della vita umana perché hanno compreso che se viene meno il rispetto della persona “la cultura dello scarto” diventerà il criterio per stabilire chi ha o non ha il diritto di vivere. Vorrei ricordare quanto ha scritto un giovane: “La vita è un mistero, non una partita a scacchi da vincere a tutti i costi secondo la logica dell’uomo. 16 anni fa moriva e saliva al cielo mio fratello Emmanuele, oggi Alfie. La loro breve vita ha avuto più senso della mia, che ho 22 anni, anzi, ha avuto un significato profondo proprio per darne uno alla mia. La mia salvezza passa da Cristo, che non è sceso dalla Croce, da mio fratello, che secondo i medici non doveva nascere ed è vissuto invece con fierezza due mesi, da Alfie, che non doveva respirare da solo, e al contrario l’ha fatto con tenacia”». 
 
Tema famiglia: quali sono le Sue preoccupazioni e quali le speranze?  
«Il Papa nell’esortazione apostolica ha affermato: “Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire” (AL 35). La famiglia sta all’origine del vivere sociale e civile. Anzi, è la società civile in radice e in miniatura ed è la forza rigenerante sul piano dei valori e su quello generazionale. La gravissima crisi di natalità mostra quanto sia necessario recuperare la centralità della famiglia, in quanto essa non esiste solo per se stessa, ma esiste in vista della città. Il matrimonio è quindi il bene supremo, il vero patrimonio di una nazione, la forza rigenerante nei periodi di crisi anche economica, l’espressione più alta dell’umano, nel suo vivere in relazione. Se la famiglia va in frantumi l’uomo diventa più solo, più fragile, più malleabile, perché non dispone più di un’unità capace di testimoniare una storia; si disperde, il suo cuore è frammentario. In definitiva, ogni persona trova nella famiglia il suo “habitat” più congeniale nel quale è dato di crescere al meglio di sé. Diviene, pertanto, essenziale, come ha fatto recentemente il Santo Padre, chiarire e ribadire la verità sulla famiglia, sulla relazione stabile tra marito e moglie, sulla genitorialità e sulla vita umana». 
 
Lei è impegnato nella ricostruzione di Carpi dopo il sisma: com’è la situazione? Quali sono i prossimi passi e obiettivi?  
«Mi sono trovato, a soli tre mesi dal mio ingresso in diocesi, a confrontarmi con un sisma che ha letteralmente distrutto il territorio e creato una situazione di disagio psicologico e spirituale. Dopo un iniziale momento di sconforto, ho percepito che il Signore mi chiamava a caricarmi la croce sulle spalle per portare aiuto al popolo che mi era stato affidato, affidandomi alla Sua Provvidenza e al Suo aiuto. Il mio motto episcopale me lo ha ricordato: “Il Signore non viene meno”. A sei anni dal terribile terremoto – grazie alla positiva sinergia con le istituzioni civili – sono stati raggiunti traguardi insperati, quali per esempio la riapertura della nostra meravigliosa chiesa cattedrale e di tante altre strutture. Ma soprattutto vorrei ricordare una rinascita vocazionale, che costituisce un motivo di speranza. Per il prossimo anno pastorale sono molte le chiese che verranno riaperte e tra queste la più significativa è senz’altro il duomo di Mirandola. L’8 dicembre, poi, ritornerà nella cattedrale la statua lignea della Madonna Assunta da quattro anni in restauro. Si tratta di un’opera di straordinaria bellezza artistica risalente al 1500 di origine francese. Se la cattedrale è il cuore della diocesi la statua dell’Assunta è il cuore della cattedrale. Un cuore che indica ai carpigiani la strada del cielo. L’impegno a recuperare le strutture religiose e pastorali non ha impedito alla diocesi di prestare attenzione alle situazioni di povertà e di sofferenza di tanti fratelli. Infatti è stata istituita la fondazione “Fides et Labor” per finanziare progetti imprenditoriali di giovani; nel 2015 sono state inaugurate due case di ospitalità destinate ad accogliere una nuclei familiari, e l’altra, mamme con bambini e donne sole. Nei prossimi giorni verrà inaugurata la “Cittadella della Carità” che ospiterà la sede della Caritas diocesana, il consultorio diocesano e una struttura per accogliere padri separati che si trovano in stato di bisogno. L’attenzione ai poveri e ai più deboli appartiene alla missione e alla storia della Chiesa, la quale da sempre mostra grande creatività nel trovare risposte ai bisogni emergenti della società e a farsi carico come il buon samaritano del fratello che soffre».