Un atto di solidarietà
verso chi soffre per la fede cristiana
In molte società dire semplicemente: IO SONO CRISTIANO è un pericolo per la vita.
Secondo stime affidabili, sono circa 200 milioni i cristiani che in 60 Paesi del mondo subiscono limitazioni all’esercizio della propria fede.
Il Papa – e di questo non si dice nulla – ha invitato tutti i cristiani ad alzare la propria voce per chiedere la fine del genocidio.
La fine del genocidio deve iniziare con la fine del silenzio. Per questa ragione nei primi giorni di aprile mi recherò a visitare i campi profughi cristiani nel Kurdistan.
Intendo questo gesto come un atto di solidarietà con quanti oggi stanno soffrendo per la fede cristiana.
Il martirio fa parte della vita della Chiesa, tuttavia questo non significa che debba avvenire senza conseguenze e che passi inosservato. L’ingiustizia, qualunque volto assuma, deve essere sempre denunciata con forza. Ogni ingiustizia deve spingerci a pronunciarci contro di essa e in favore della giustizia.
Scrive il Cardinale di Washington: “Dobbiamo impegnarci a vivere con quei cristiani che attualmente soffrono. Stanno dando la loro vita per noi. Il loro sangue è il seme della Chiesa dei nostri figli”. E si chiedeva: “Noi che cosa facciamo per loro?”.
La mia visita nei campi profughi vuole essere un inizio di aiuto.
+ Francesco Cavina, Vescovo
verso chi soffre per la fede cristiana
In molte società dire semplicemente: IO SONO CRISTIANO è un pericolo per la vita.
Secondo stime affidabili, sono circa 200 milioni i cristiani che in 60 Paesi del mondo subiscono limitazioni all’esercizio della propria fede.
Il Papa – e di questo non si dice nulla – ha invitato tutti i cristiani ad alzare la propria voce per chiedere la fine del genocidio.
La fine del genocidio deve iniziare con la fine del silenzio. Per questa ragione nei primi giorni di aprile mi recherò a visitare i campi profughi cristiani nel Kurdistan.
Intendo questo gesto come un atto di solidarietà con quanti oggi stanno soffrendo per la fede cristiana.
Il martirio fa parte della vita della Chiesa, tuttavia questo non significa che debba avvenire senza conseguenze e che passi inosservato. L’ingiustizia, qualunque volto assuma, deve essere sempre denunciata con forza. Ogni ingiustizia deve spingerci a pronunciarci contro di essa e in favore della giustizia.
Scrive il Cardinale di Washington: “Dobbiamo impegnarci a vivere con quei cristiani che attualmente soffrono. Stanno dando la loro vita per noi. Il loro sangue è il seme della Chiesa dei nostri figli”. E si chiedeva: “Noi che cosa facciamo per loro?”.
La mia visita nei campi profughi vuole essere un inizio di aiuto.
+ Francesco Cavina, Vescovo