Dal Madagascar Luciano Lanzoni

Gli auguri per la Pasqua 2014

Dal Madagascar Luciano Lanzoni
Gli auguri per la Pasqua 2014
 
“Il progettare è l’arte di mettere in atto un desiderio, un sogno.
Mi è stato chiesto di raccontare quando è nato “il sogno” e come si è dipanato per arrivare a oggi. Un oggi concreto che si realizza con la chiusura di un progetto, il progetto delle reti comunitarie per l’accoglienza e l’integrazione delle persone con problemi psichici.
Il progetto, anche se in modo informale, è cominciato diversi anni fa e mi auguro continui nella vita e nelle storie dei protagonisti, fino a che, quel sogno, non sia pienamente realizzato.
Vorrei paragonare questo ideale, questo desiderio a quello di Martin Luther King, abbiamo ricordato, proprio lo scorso anno, i 50 anni dal famoso discorso – ho fatto un sogno -: Non indugiamo nella valle della disperazione. Oggi, amici miei, vi dico: anche se dobbiamo affrontare le difficoltà di oggi e di domani, io continuo ad avere un sogno. E’ un sogno che ha radici profonde …. Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità”… Ho un sogno, che un giorno i figli di ogni uomo e di ogni donna potranno sedersi insieme, senza pregiudizi!! … 
Sono convinto che ciascuno di noi ha un ruolo insostituibile ed unico ….
Diversi anni fa restai a lungo a guardare un poster nel quale era raffigurato il volto di Gesù: sofferente e risorto. Quel volto era composto dal volto di donne e di uomini i più diversi e disparati: bei visi, visi che riflettevano ciascuno la propria unicità ed insostituibilità, visi di persone anziane, di bambini, di persone sofferenti, gioiose, malate, innamorate … in quel grande poster, un mosaico di volti, vi era un tassello vuoto, qualcuno era forse escluso? No, ho pensato: è per tutti quelli che verranno dopo. Questa immagine mi ha aiutato, in tutti questi anni, a vedere nell’altro, in ogni altro, quel tassello vuoto: anche lui ha un posto, accanto a tutti noi, perché l’umanità di Gesù possa farci TUTTI divinità.
Tutto è cominciato quando ho visto, ciò che altri preferiscono ignorare: gli invisibili perché troppo visibili, presenze nel panorama delle nostre città, che vivono silenziosamente abbandonate sul ciglio delle strade che percorriamo ogni giorno. Che ci mettono a disagio perché è più facile fare un po’ di elemosina che superare la tentazione di distogliere lo sguardo dai giacigli che custodiscono gli scarti della nostra indifferenza. Ciascuno di noi ha tentato di scacciare il grido di solitudine, di desolazione e di abbrutimento che proviene, muto, da queste persone. Dai corpi consumati e provati dei senzatetto, senza casa e senza famiglia, dai volti murati dentro loro stessi, completamente soli. Parrebbero impermeabili a tutto, eppure non è difficile scorgere il cuore schiacciato dal dolore di chi sa di vivere e di morire accanto a noi nel nostro totale disinteresse. Il cuore della loro esperienza è esattamente quello che non vorremmo ascoltare: «Più che del pane bisogna offrire una relazione fraterna, di reciprocità». La vera infelicità di chi vive sulla strada, infatti, sta nel dolore lacerante del mancato incontro.
Questa esperienza di incontro, di reciprocità con gli esclusi, i messi a parte: barboni, carcerati, malati mentali, devianti … vissuta per alcuni anni in Italia, ho potuto continuarla una volta giunto in Madagascar. Dopo una prima esperienza, ricchissima ed arricchente, di incontro con la realtà, la lingua, la cultura, all’Akanin’ny Marary di Ambositra, il mio servizio mi ha portato ad incontrare le persone nei villaggi, nei luoghi di vita. Il desiderio era quello, per quanto possibile, di andare incontro alle sofferenze e alle difficoltà delle persone che si erano presentate all’Akanin’ny Marary, e di cercare con loro le opportunità, là dove essi stessi vivevano, per affrontarle e alleviarle.
Sono stati anni bellissimi: l’incontro, l’ascolto, la relazione, la partecipazione della comunità, il costruire assieme. Oggi abbiamo incontrato una bambina, Aina, è disabile – postumi di poliomielite- è stata all’Akanin’ny Marary le hanno fabbricato un’apparecchiatura ortopedica che le permette di essere più autonoma, di camminare! Non può andare a scuola, deve attraversare un corso d’acqua, un unico tronco funge da ponte, impossibile attraversarlo. Oggi abbiamo dato la possibilità ad Aina di andare a scuola, tutta la comunità ha accettato di collaborare per costruire la passerella che le permetterà di attraversare il corso d’acqua e di andare da sola fino a scuola, oggi abbiamo permesso ad Aina di essere più autonoma, di camminare!
Di storie di vita come queste, negli anni ne ho vissute tante, ogni volta ho detto grazie : “Anche se avrò aiutato una sola persona a sperare non sarò vissuto invano”. (Martin Luther King).
Quante volte, però, ho dovuto fermarmi! Sì ci sono situazioni a cui non puoi dare risposta, ci sono situazioni più forti e più grandi di te, sei obbligato a stare in silenzio, muto perché non sai! Una di queste situazioni è certamente la Malattia Mentale …
Come Khalil Gibran, ho fatto l’unica cosa possibile ho ascoltato il malato:
 
Fu nel parco di un manicomio che incontrai un giovane con il volto pallido e bello, colmo di stupore.
E sedetti accanto a lui sulla panca, e dissi:
“Perchè sei qui?”.
E lui mi rivolse uno sguardo attonito e disse:
“È una domanda poco opportuna, comunque risponderò.
Mio padre voleva fare di me una copia di se stesso,e così mio zio.
Mia madre vedeva in me l’immagine del suo illustre genitore.
Mia sorella mi esibiva il marito marinaio come il perfetto esempio da seguire.
Mio fratello riteneva che dovessi essere identico a lui: un bravissimo atleta.
Ed anche i miei insegnanti, il dottore in filosofia,e il maestro di musica,e il logico,erano ben decisi:
ognuno di loro,voleva che io fossi il riflesso del suo volto in uno specchio.
Per questo sono venuto qui.
Trovo l’ambiente più sano.
Qui almeno posso essere 
me stesso.
E di scatto si volse verso me e chiese:
“Anche tu sei qui a causa dell’educazione e dei buoni consigli?”
Ed io risposi:” No, sono qui in visita”.
E lui disse:
“Ah, ho capito. Vieni dal manicomio dall’altre parte del muro”.
Khalil Gibran “Il Folle”
 
Ascoltando ti rendi conto di quanti pregiudizi riempiono il tuo immaginario, quanto sia difficile mettersi veramente in ascolto.
L’incontro con i Malati, la loro fatica, mi ha spinto a cercare nuove strade … nel settembre del 1992 ho incontrato la dottoressa Celine, è stata subito disponibile ad iniziare ad incontrare i Malati, a proporre delle cure farmacologiche, a sostenerli perché potessero restare nel territorio, perché non ci fossero muri, per non definire da quale parte del muro stare ma, semplicemente, come stare lì dove sei, con le persone che ti circondano.
È iniziata così una nuova avventura, un’avventura fatta di ascolto delle persone, della loro fatica e della loro sofferenza : “La sofferenza dischiude la comprensione interiore dell’uomo”. (Mahatma Gandhi).
Con i malati e con le persone che potevano insegnarmi a capirli e conoscerli di più, come i medici, abbiamo iniziato a riflettere sulle risposte più adeguate perché in tutti fosse più chiaro il percorso di inclusione da compiere, per una reale compartecipazione di tutti a tutte le attività.
In questo cammino non posso dimenticare il grande aiuto ricevuto dalle Fraternità Cristiane delle persone Malate e in situazione di Handicap. Vivono ogni giorno nella loro vita la fatica del limite : “Ho imparato dalla malattia molto di ciò che la vita non sarebbe stata in grado di insegnarmi in nessun altro modo” (Johann Wolfgang Goethe), ma è proprio in virtù di questo limite e della malattia che hanno trovato il modo di andare incontro all’altro, di stare con l’altro. Ho capito che non c’è chi cura e chi è curato, ma un fare insieme, condividendo il sapere di ciascuno per il bene comune.
Per prima cosa, dunque, si rendeva necessario aiutare nella comprensione coloro che della malattia hanno il “potere”. Aiutare i medici ad affiancare il malato, ed in particolare il Malato Mentale, perché sia l’autore della propria cura e guarigione. Ho incontrato il dottor Venturini, che non conoscevo ancora, nel 1998, durante una sua visita qui in Madagascar, subito ci siamo sentiti in sintonia: il malato non come oggetto delle cure del medico, ma come soggetto di un percorso terapeutico che permetterà a tutti di vivere in un mondo migliore.
Poi … il cammino del progetto: una prima stesura ed una prima presentazione al Ministero Affari Esteri Italiano. Un secondo progetto presentato dall’Akanin’ny Marary alla commissione europea, qui in Madagascar. La collaborazione con la Fondazione Follereau Lussemburghese, con la quale si è riusciti a dar vita alla struttura di riabilitazione per le donne Fialofana. La collaborazione con il Ministero della sanità malagasy, con le prime formazioni per medici di Base. La collaborazione con l’Associazione “l’Avete fatto a Me”, nuove formazioni per i medici di base. Contemporaneamente la collaborazione con l’Ospedale Psichiatrico di Ambokala, Manakara. Infine l’accettazione da parte della Commissione Europea presente in Madagascar, di finanziare il progetto intitolato: “Réseaux communautaires pour la prévention et réhabilitation psychiatrique dans la Région Amoron’i Mania. A questo va aggiunto l’appoggio per la costruzione del Centro di Prevenzione e Diagnosi per la Salute Mentale da parte della Diocesi di Carpi attraverso il Centro Missionario e dell’Associazione “Amici del DonGio”, di Scandiano RE, e del Centro di riabilitazione Fialofana II da parte dell’Associazione Mondo Giusto.
 
Questo messaggio lo dedico ai Folli:
A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.
Potete citarli.
Essere in disaccordo con loro.
Potete glorificarli o denigrarli,
ma l’unica cosa che non potete fare è ignorarli.
Perché riescono a cambiare le cose.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli,
io ne vedo il genio.
Perché solo coloro che sono abbastanza folli 
da pensare di poter cambiare il mondo,
lo cambiano davvero.
(Mahatma Gandhi)