COMUNICATO STAMPA
Omelia di S.E. Monsignor Erio Castellucci nella Solennità dell’Assunzione della B.V. Maria
Carpi – Piazza dei Martiri di Carpi – 15 agosto 2020
“Possiamo trasformare, con la grazia di Dio, questo anno faticoso: da tempo di lamentazioni a tempo del Magnificat”.
“La nostra Chiesa di Carpi si faccia conquistare dallo stile del Magnificat: più gioia, più ascolto reciproco, più umiltà, più gratitudine”.
“Benedetta” e “beata” si sente dire Maria dalla cugina Elisabetta, appena entrata nella sua casa dopo un lungo viaggio. “Benedetta” e “beata” oggi sarebbero complimenti poco significativi e suonerebbero quasi come una presa in giro; ma duemila anni fa, in Palestina, erano due parole di grande peso. Definire una persona “benedetta” da Dio, significava apprezzare la sua grandezza, perché Dio inviava i suoi favori ai giusti, a chi viveva rettamente, a chi se li meritava. E chiamare uno “beato” voleva dire ritenerlo felice, anzi di più: realizzato. Elisabetta, insomma, usa le parole più impegnative a sua disposizione per esaltare la cugina.
Come può rispondere Maria? Forse Elisabetta si aspetta a sua volta qualche elogio: di solito chi fa dei complimenti attende il contraccambio. Invece Maria risponde congratulandosi con il Signore, non con la cugina. Il suo modo di contraccambiare l’omaggio di Elisabetta è di rendere omaggio a Dio. Lo fa con le parole più alte a sua disposizione: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”. Maria non nega di essere davvero “benedetta” e “beata”, anzi lo conferma dicendo: “d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente”. È come se Maria rispondesse alla cugina: non fissarti sui doni che vedi in me, ma guarda all’origine dei doni, al donatore stesso. E proprio nel momento in cui si dichiara “beata”, Maria dice che “Dio ha guardato l’umiltà della sua serva”. Sembra una contraddizione e invece questa è proprio la vera umiltà: non la finta modestia di chi nasconde i propri doni, ma la riconoscenza verso l’origine di questi doni, verso il donatore stesso. Maria esalta il Signore, perché scegliendo lei, una semplice ragazza del popolo, come madre del suo figlio, e trascurando i palazzi delle regine e delle principesse, Dio mostra la sua preferenza per gli umili rispetto ai superbi, per i piccoli rispetto a quelli che si sentono grandi.
Siamo arrivati quasi ai due terzi del 2020, un anno che non dimenticheremo facilmente. Abbiamo sperimentato – e speriamo di poter parlare presto al passato – quanto le sicurezze umane siano fragili, quanto i troni sui quali ci credevamo stabili siano traballanti; abbiamo invocato con timore e angoscia la potenza del braccio di Dio, perché facesse cessare la pandemia; abbiamo sollecitato la sua misericordia. Ci siamo resi conto, se ce lo fossimo dimenticato, che la nostra vita è un passaggio e che i nostri beni e la nostra salute sono sempre insidiati. Ma in questa triste esperienza abbiamo anche riscoperto l’azione di Dio, che “rovescia” i nostri criteri umani e suscita gesti di generosità, desiderio di relazioni purificate, impegno quotidiano per ricostruire e ripartire. Per quanto faticoso e doloroso, non è stato un tempo inutile. Se non torneremo troppo presto a distrarci e vivere superficialmente, ci avrà insegnato a distinguere l’essenziale dal futile, ciò che conta dal transitorio.
Possiamo trasformare, con la grazia di Dio, questo anno faticoso: da tempo di lamentazioni a tempo del Magnificat. Pur mettendo insieme tutti e quattro i Vangeli, raccogliamo pochissime parole dalla bocca di Maria. Una quindicina di versetti in tutto: dice un paio di frasi all’angelo Gabriele in occasione dell’Annunciazione, per esprimere il suo stupore – “come è possibile?” – e la sua disponibilità – “avvenga per me quello che hai detto”; poi una frase di rimprovero a Gesù dodicenne nascostosi nel Tempio – “figlio, perché ci hai fatto questo?” – e una ventina di anni dopo, a Cana, una sorta di testamento, le sue ultime parole: “quello che Gesù vi dirà, fatelo”. A parte questi brevi interventi, il discorso più lungo è proprio quello che abbiamo proclamato oggi, il Magnificat. Maria, cioè, apre la bocca quasi esclusivamente per lodare. Una volta sola per lamentarsi con Gesù, per rimproverarlo; ma il resto è affidamento, ringraziamento, lode.
Magari fosse così anche per me. Quante volte apro la bocca per lamentarmi e quante volte per ringraziare? Quante volte per criticare e quante per lodare e apprezzare? Quante parole pronuncio per colpire e quante per costruire? Se il Magnificat diventa il mio stile, migliorano i rapporti con gli altri e migliora anche la qualità della mia vita; perché chi passa il tempo a lamentarsi, ad attaccare, a denigrare, vive peggio di chi si sforza di apprezzare, lodare e ringraziare il Signore per i doni che ha. Chi è portato al lamento finisce per fissare solo se stesso, reclamando tristemente ciò che non ha. Chi è portato al ringraziamento, invece, alza lo sguardo sui fratelli, apprezza tutto ciò che di buono vede in sé e in loro, si impegna a trasformare la realtà partendo da se stesso. La nostra Chiesa di Carpi, che da cinque secoli onora Maria in questa grande solennità dell’Assunzione, si faccia conquistare dallo stile del Magnificat: più gioia, più ascolto reciproco, più umiltà, più gratitudine. Che il Signore cali la sua misericordia nei nostri cuori, riempiendoli di riconoscenza per i suoi doni.
Diocesi di Carpi
T. 059 687068