Editoriale del n. 37 del 27 ottobre 2013


Suor Maria Ruth Malagoli


La vita monastica benedettina è per me essenzialmente una scelta di libertà. Ci si potrebbe chiedere se sia davvero libero chi fa voto di obbedienza, di stabilità in una comunità e di continua conversione a Cristo, del quale ‘non bisogna avere nulla di più caro’, dice la Regola, ma basta osservare con attenzione la vita del ‘mondo’ di oggi per rendersi conto che ciò che viene in genere propagandato come ‘libertà’ non lo è affatto: il benessere, la ricchezza, il poter fare ciò che si vuole quando si vuole, è questa la libertà?
O non sono piuttosto schiavitù verniciate di indipendenza che rendono le persone sempre più in balia delle voglie del momento e sempre meno liberi di fare della propria vita qualcosa di grande, di diverso, di farne un dono? I monaci dedicano la parte migliore del loro tempo all’Opus Dei, alla lode divina in coro, sette volte al giorno, per diverse ore.
Uno spreco di tempo? O una scelta di libertà, scelta di restare fedeli al Signore della Vita senza lasciarsi trascinare dal vortice del fare, dell’accumulare, del guadagnare, scelta di lasciare a Lui il primato, perché sia davvero ‘Signore’ della mia vita?


E potrebbe stupire l’osservare che, così facendo, si lavora comunque tanto e bene, anzi meglio! C’è una misteriosa produttività in questa gestione del tempo libera da condizionamenti ‘efficientisti’, che fa sentire i monaci solidali con i fratelli che nel mondo devono guadagnarsi il pane quotidiano con fatica, e allo stesso tempo il lavoro acquista, grazie ad essi, un valore aggiunto, è spiritualizzato, poiché per San Benedetto l’Opus Manuum (il lavoro manuale quotidiano) costituisce la sacra e doverosa prosecuzione della liturgia.


Scegliere di obbedire alla campana, all’abate, alla regola, ai fratelli, alle tradizioni del monastero, è scegliere ogni giorno liberamente di vivere d’amore, anteponendo gli altri a se stessi e mettendo al primo posto Cristo, certi che in questa obbedienza per fede si gioca la vera libertà dell’uomo. In fondo, non credo sia mai esistito nessuno al mondo più libero di Cristo, che liberamente ha dato la sua vita per amore, con coerenza, ogni giorno della sua vita usque in finem (fino alla fine), sottomettendosi al volere del Padre perché credeva fermamente nel Suo amore.


Certo, è un cammino di spoliazione, perché siamo troppo attaccati al nostro ego, alle nostre abitudini, ai condizionamenti sociali per non patire un po’ questo distacco, ma dopo le prime fatiche, dice San Benedetto, ‘si corre con inenarrabile dolcezza e con cuore dilatato’, e si acquista uno sguardo capace di varcare gli stretti confini del ‘qui’ e ‘adesso’, e di intravedere i raggi di eternità di cui è impregnata la nostra quotidianità.